Ci vuole classe per fare del bel pop. E per scrivere cose intelligenti, cantarle sopra melodie accattivanti, rimanere comunque un manipolo di ragazzi de Roma (o romanizzati) che vivono tra Londra e l'Italia. I Carpacho ce l'hanno, lo sappiamo da qualche anno. Sono tornati insieme e dopo averci fatto assaggiare il mini Ep "L'oracolo e il fardello", ora sono al banco di prova. Cioè, ad un disco vero, il secondo per essere precisi.
Il disco vero si chiama "La futura classe dirigente": nove pezzi, con un intro di una ventina di secondi che neanche si nota. Si parla di reni, infarti, dottori, ospedali. Chissà perché, ma la sanità ricorre parecchio nei testi dell'album, per metafora o per verità. Inevitabilmente rifletti sulla vita, ognuno sulla sua, ognuno sulle sue sfighe. Sulla voglia di fuggire la normalità oppure di raggiungerla una volta per tutte. Di mettere la testa a posto oppure no.
Musicalmente, ci troviamo suoni elettronici cari ai Carpachi, sinth sbarazzini e coretti con batteria in quattro quarti che riempiono di felicità. E anche pianoforte, come nella bella "Assassino seriale sensibile". Ottima "La classe diligente": è la sintesi di ciò che sa fare questa band, che all'epoca ci fece girare la testa. Ci si sente, dentro, tutto ciò che ormai cataloghiamo come il loro "brand". "Chiedere che cosa fai nella vita – canta Marco nel pezzo – è come chiedere ad una donna la sua età". Per i tempi che corrono è vero, se ci pensate. E giù a canticchiarsela in giro per la strada, magari sovrappensiero. Provateci voi a fare una roba così "catchy"...
Ci sono parti che ricordano parecchio i Baustelle, altre che sembrano strani figli di coppie stile Bluvertigo + Battisti. Prese da sole, queste canzoni sono tutte belle. Carine. Orecchiabili. Perfette, nella loro forma. Condite da testi affatto banali, ma ben adattabili a qualsiasi situazione che ci crucci o ci faccia emozionare. Un po' come dei paradigmi, insomma. Il problema è quando le si prende insieme. Perché un disco, normalmente, si ascolta tutto dalla A alla Z. E lo si apprezza e giudica nella sua interezza. Ecco, a guardarlo un po' da lontano non c'è niente che spicchi: è un flusso continuo, che fatica ad entrare nel vivo. Non decolla, sembra sempre che dietro l'angolo ci sia la canzone dell'anno, ma non è così. Ce n'è un'altra simile a quella precedente: carina, di qualità. Per carità. Ma pur sempre un po' uguale al resto. Così da confondersi tra le sfumature generali.
Insomma, dai Carpacho forse ci aspettavamo troppo. Forse è davvero la realizzazione del loro progetto di diventare una "supermarket band" e forse ci fa bene avere dei sottofondi così belli. Ma qualcosina in più volevamo proprio vederla. Al prossimo album? Speriamo.
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