Quelli di Rockit mi hanno chiesto di scrivere di un evento italiano, e cosa c’è di più italiano del progressive italiano? Non siete d'accordo?
La risposta ‘no’ è quella che va per la maggiore, purtroppo! Pochi, infatti, sanno che al di fuori dell’Italia (leggi U.S.A. e Giappone!) il prog ‘made In Italy’ è considerato in assoluto il migliore disponibile sulla piazza. E la piazza, in questo caso, è decisamente grande! In definitiva, se il progressive italiano è ‘roba italiana’, lo è anche il disinteresse nei confronti di questo genere. L’evento (o l’album, chiamatelo come volete) si chiama “Work In Progress Live” dei D.F.A., una band italiana recensita in ogni dove e ascoltata, manco farlo apposta, da poco più di nessuno, in Italia.
“Work In Progress live” è il terzo lavoro ufficiale della band veronese che ha registrato questo CD al Near Fest 2000, negli Stati Uniti, luogo in cui è forte il consenso del pubblico e della critica. La loro proposta è un progressive che si ispira a mostri sacri del calibro di Gentle Giant, Gong, King Crimson, a cui si aggiungono ambienti decisamente più votati alla fusion e al jazz rock che colorano i brani di sfumature più tenui e trame ritmico-armoniche di classe seppur meno cervellotiche. La loro evoluzione verso un nuovo modo di porsi con questo stile è partita nel 1996 con il primo cd intitolato “Lavori in corso” che presentava una band vispa, ‘indisciplinata’, spavalda e nervosa, soprattutto nelle tele ritmiche-melodiche, difficili da districare e, in certi momenti, impossibili da capire. Un eccellente lavoro d’esordio, dunque, seppur pecchi in un ostinata ricerca del complesso, del macchinoso.
La vera sorpresa arriva nel 1999 con l’album “Duty Free Area”, cd in cui il sound della band trova un nuovo punto d’arrivo, abbandonando i meccanismi più obsoleti per affrontare le tematiche del progressive classico, con rinnovata freschezza, vestendolo di sonorità più briose e attuali, lontano dalle band prog di oggi che ripropongono la solita minestra riscaldata, cambiandole nome. Purtroppo è questo il vero limite del genere, non capace di spiccare il volo e prendere le distanze da un trito e ritrito modello in stile anni ’70 che i più seguono pedissequamente senza cercare di rammodernarne le fila. I D.F.A., fortunatamente, sono uno di quei pochi casi in cui è riuscito il tentativo di non farsi ammaliare dai vecchi del genere per approntare un discorso del tutto personale. Ascoltate questo live, edito per la neonata ‘Moonjune records’ di New York, per averne conferma: la registrazione è decisamente buona e il pubblico in sala risponde egregiamente alla proposta dei D.F.A.. Ma la cosa che più colpisce dell’intero album, è la resa concertistica dei brani e, soprattutto, l’esecuzione, che trasuda l’emozione del momento, trasformata in energia pura, sangue e sudore, termini poco usati per il genere, solitamente etichettato come ‘freddo’ e cinico.
Su tutte brillano “Escher”, dedicata al sommo artista, alter ego visivo del progressive, “Ragno”, splendido l’intermezzo tra psichedelia e schizzofrenia, “Trip On Metrò”, un susseguirsi di incastri allucinanti, “Pantera”, per lo splendido a solo jazz di piano e “La Via”, per tutto. Non parliamo, poi, della sezione ritmica, una certezza senza paragoni. I quattro veronesi (Alberto De Grandis, Luca Baldassari, Silvio Minella e Alberto Bonomi) sono davvero efficaci e tra loro si respira un gran feeling che si ripercuote positivamente sulla resa sonora. Una band davvero valida, come validi i loro lavori discografici.
Sono tutti coscienti della difficoltà di ascolto del prog, ma questi D.F.A. sanno far apprezzare delle soluzioni musicali inusuali e, una volta ascoltate le loro opere, non è raro trovarsi a canticchiare alcune melodie, cercando di svelare l’arcano sotto cui si cela il misterioso brano …(?).
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La recensione Work in progress (live) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2001-10-10 00:00:00
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