Piace e convince questo secondo disco dei torinesi Sushi. A due anni di distanza da ”Un leggerissimo disturbo da panico”, Ale, Otti e Paolo tornano prepotentemente sulla scena, con l’aggiunta definitiva del quarto elemento, Ciuski, alla batteria.
”Un mondo terribilmente volgare”contiene dodici brani decisamente più maturi rispetto a quelli contenuti nel precedente lavoro: laddove in precedenza i suoni puntavano dritti alla new wave elettronica anni Ottanta ed erano tutto sommato 'semplici', oggi il Sushi-sound è più complesso, elaborato, energico. E’ più rock, più industriale, più dark.
Un’evoluzione in crescendo anche nei testi, decisamente più introspettivi e 'negativi', ma per questo utili ad esorcizzare evidenti contrasti interiori del suo autore. La fine è un nuovo inizio, ci dicono Otti e soci, come la fine di una storia trova l’inizio di un’altra, come succede in ogni vicenda umana. L’apertura, con “La fine", fa subito intuire la nuova direzione dei Sushi, un rock industriale molto vicino all’ondata elettronica tedesca. Aleggia lo spirito degli Ustmamò su tutto il disco, anche se il quartetto torinese riesce in qualche modo a personalizzare il risultato finale. Ne troviamo traccia in “Non riesco ad essere perfetta”, uno degli episodi più interessanti del cd assieme a “Sono nelle tue mani” e soprattutto a “Un pomeriggio di maggio”. Quest’ultima è a mio modesto parere un brano da sogno, con la voce delicata di Otti accompagnata dal piano, dalle tastiere, dal flauto e dall’arpeggiare della chitarra (tra U2 e Red Hot Chili Peppers). Ed è anche romantica, seppur malinconica per la solita storia d’amore finita male (gli abbandonati ne potrebbero fare un inno…).
Si distinguono anche “Tienimi con te” (con un ritornello che resta in mente subito e strofe rappate, con finale in crescendo) e “Nessuna speranza”, brano conclusivo strumentale con piatti cinesi, tamburi e piano, per rappresentare una Cina tra l’avanguardia e la tradizione).
Togliendo dal mucchio “Credevo di potermi fidare di te” e “(6)”, un po’ prive di 'anima', come quei brani senza sapore che non provocano emozioni, il resto è di ottima qualità, toccando persino il mondo tecno-tribale (“Fare parte del g.u.”) e quello contemporaneo di Cure e Siouxsie and the Banshees (“Il cerchio (senza alcuna via di fuga)”).
Insomma, un lavoro maturo, ben curato, attento più ai particolari che alla ricerca della melodia da classifica (che in sporadici casi, comunque, non manca). Necessita un ascolto attento, questo secondo album della formazione piemontese, e con molta attenzione si riesce a farsi trasportare dalle emozioni che suscita. Se tutta la tristezza di fondo che permea l’intero lavoro conduce a questi risultati, beh, forse c’è da augurare al gruppo torinese altre sventure sentimentali…
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