Lo avevo scoperto qualche annetto fa, quando mi spedì i demo la cui ragione sociale corrispondeva al nome Creme. Fu un ascolto fugace e l'impressione era stata positiva, ma (colpevolmente, aggiungo oggi) non mi spinsi fino al punto di scrivere le mie impressioni. Lo ritrovai poco dopo fra i nuovi cantautori segnalati da Cristina Donà, tornando con la memoria a quei demo ma senza approfondire. Il destino (e la caparbietà) di quest'artista pugliese lo fanno però riemergere ancora una volta ed é ovviamente inevitabile reincrociarlo, anche se con un progetto che cambia completamente le carte in tavola. Non più, infatti, il cantautorato come riferimento, bensì il blues, nella sua derivazione più acida e scura. Impegnativo come campo d'azione, solo a pensare quanti siano gli artisti che hanno affollato - e tuttora bazzicano - il panorama; ma il combo pugliese non si lascia certo intimidire e piazza subito in principio "Black sound", sorta dil manifesto sonoro che esplicita, senza molti fronzoli, le intenzioni della nuova creatura.
Creatura che, per i più attempati, riporta alla mente i fasti dei The Gun Club, gruppo capitanato da Jeffrey Lee Pierce, che scrisse una pagina memorabile nella storia della musica alternative americana. E a tal proposito viene da pensare che se Maurizio Vierucci e i suoi compagni di viaggio avessero calcato le scene già da qualche anno, sarebbero entrati di diritto fra i gruppi protagonisti di quello spettacolare tributo all'opera di JLP intitolata "We are only riders", che annovera reinterpretazioni affidate a gente del calibro di Nick Cave, Lydia Lunch, Mark Lanegan, Mick Harvey e Woven Hand. Partire da questo riferimento aiuta moltissimo a capire l'atmosfera che si respira in queste 9 tracce: Creme, nonostante i natali italiani, riesce infatti a dimostrare un'invidiabile qualità, ovvero quella di essere tanto un autore quanto un interprete credibile. Compito non facile, come si accennava all'inizio, trattandosi di un genere che negli ultimi anni ha visto proclamare come campioni indiscussi gente del calibro dei 16 Horsepower (da cui discende il progetto Woven Hand).
La strada é ancora lunga, certo, ma anche a cercare il pelo nell'uovo non si può fare a meno di notare che l'ispirazione sia ad un livello tale da poterci scommettere qualche centinaio di euro (si ascoltino subito "Not me", "The hunter" e "Certain destruction"). Se dureranno e avranno la fortuna di ritagliarsi lo spazio che meritano (almeno per quanto dimostrato finora), nel giro di breve l'Italia rappresenterà per la band solo uno dei tanti paesi da girare in tournée.
---
La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-05-19 00:00:00
COMMENTI (9)
Ficata! *_*
Uh uh, ricorda tantissimo Jeffrey Lee Pierce e i mitici THE GUN CLUB... bella roba!
Back ground abbastanza variegato, ricchi di spunti e pulsioni che attualizzano questo pregevole lavoro in cui sgorga la falda della passione, del gusto e dell'amore per la musica. Complimenti alla band, speriamo di poterli ascoltare presto dal vivo, magari a Roma!!! :)
Bob
Non male. Vedi alla voce "paisley undeground".
Bravissimo questo,mi piace molto.Come passano a suonare dalle mie parti ci sono.
Fa bollire il sangue! [:
Eccezionale...Not Me, Black Sound, e Summer Breeze le mie preferite.
mi piace!
wow