Partono in quarta gli Anubi nell'EP "Perdition Is My Queen" e in "Capital City" giocano a fare i ragazzini estasiati all'idea di approcciarsi alla grande città, con un'intro al ritornello che ha lyrics non originalissime tipo "This is the city / watch me I'm coming / there are no limits" e scimmiotta suoni alla Franz Ferdinand, per poi staccarsi dal braccetto con la band di Glasgow, pur rimanendo nella scia del rock britannico. Questo rimane il pezzo migliore, con chitarra e batteria che si inseguono, gli "ah-ah"alla fine, i molti suoni che si intrecciano e creano un buon tessuto. Per il cantato e gli "ai-ai-ai", "I" tende a ricordare una "Tender" dei Blur velocizzata, la voce diventa un po' sguaiata alla brit pop-rock fine '90s, e poi arriva l'intermezzo chitarra e xilofono a spezzare un po' sul finale.
Un'intro che ha un paio di note simili a "Careless Whisper" di George Michael è invece quella di "Indian Song", che però risulta un po' ripetitiva e sembra cantata con più disattenzione. Con "Late Nite Bar", gli Anubi ritornano là dove hanno iniziato, ovvero tra Franz Ferdinand e Arctic Monkeys. Nel complesso il disco si fa ascoltare, ma più attenzione ai testi e la ridefinizione di un proprio stile originale, aiuterebbero l'ascoltatore a ricordarlo.
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