Come cumulonembo a incudine che incombe sul pigro marcire dei giorni, i Soviet Soviet minano la quiete e ricoprono di ombra gustosa i bagliori pre-estivi, consapevoli della loro scia oscura che si trascina nei brani come coda vitale che colpisce e orienta. Neri, purpurei, violacei, tutti i colori del sottosuolo si alternano in fotogrammi netti come scariche d'ansia. Tiratissima e sofferta "Prince, Prostitutes" con richiami evidenti alla morbosa vocalità di Peter Murphy, il riff di "The Beasts Are Brave" urla "Twenty-four hours" e "Insight"dei Joy Division, dolci spunti corrotti nella chiusura di "Aztec Aztec": e riverberi ed echi, e sdraiarsi sul letto all'alba col rimpianto che hai, i lampioni che si spengono, la quadratura del cerchio o la resa dei conti o semplicemente cedere al sonno per non ingoiare la sconfitta, che è amara solo se la ingoi.
Questo è il postpunk degli anni nuovi, questo il mescolarsi bruciante di new wave geometrica e dark lineare con le riflessioni che vengono poi. E' la scena di Pesaro che prende piede, è la fede negli eighties che porta frutti freschi e originali, è quello che continuiamo ad aspettarci dai Soviet Soviet, che non sbagliano un colpo e regalano sezioni ritmiche rigide e asciutte e rocciose e brani lisci come avorio che scaraventano giri di basso e graffi elettrici sulla cupa sostanza che li compone. Ora non resta che attendere un full length seduti sui gradini assolati attraversati da ombre gustose e oscure scie.
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