Dopo anni di stasi se non di involuzione, la Bandabardò dà segni di vita e di voglia di cambiamento. Tutte cose già emerse nel precedente "Ottavio", ma qui rese in modo più esplicito. Si può dire che "Scaccianuvole" sia il primo disco triste del gruppo toscano. Privo di paraculate da pogo concertizio, con poche concessioni anche ai saltelli, è un album cantautorale, che ha come riferimento principale la canzone milanese degli anni '60, quella degli Jannacci e dei Fo, già omaggiati qualche anno fa con "Sempre allegri", che citava già dal titolo "Ho visto un re".
I pezzi migliori sono quelli centrali, ovvero "Spogliati, "Amore bellissimo" e "Sant'Eustachio". I peggiori sono quelli nati morti ("Come i Beatles", sulla protesta di dicembre dei ricercatori saliti sui tetti delle università) o figli di un'indignazione a comando ("Un paese cortigiano", con insensata invocazione dei numi tutelari Benigni, Saviano, Gino Strada e De André). Brani sprecati, che in parte vanificano l'evidente cambio di atmosfera.
Se a livello di musica la svolta è chiara e anche gli arrangiamenti vanno in questa direzione con un inedito lavoro sui cori, i testi faticano ad adattarsi. Erriquez Greppi sembra non riuscire a ritrovare l'ispirazione e la capacità di sintesi narrativa dimostrate agli esordi con pezzi come "L'estate paziente". Come detto, i passaggi migliori sono quelli a metà disco, ma anche in quei casi i testi sembrano solo abbozzi incompiuti, che non riescono a raccontare fino in fondo e per davvero una storia.
Per tutti questi motivi, "Scaccianuvole" suona come un disco di transizione, che fa tesoro di quanto di buono fatto nell'album precedente e fa ben sperare per il prossimo. Dopo una sequela ormai lunghissima di album mediocri (eufemismo), superati i 40 anni (e per Erriquez i 50) sarebbe anche ora di sfornare il disco della piena maturità.
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