Dai che mica ve lo devo venire a spiegare io chi è Alborosie, che prima o poi ci siamo trovati tutti a mani alzate sui ritornelli di "Kingston Town" o "Herbalist", due pezzi che nel giro di pochi anni sono diventati più classici dell'intera discografia dei Reggae National Tickets. Ché da quando ha mollato le fredde lande bergamasche, l'artista di origini sicule è salito su un'onda da cui non è più sceso, spargendo il suo verbo da una parte all'altra del Pianeta e facendoci sentire tutti un po' meno provinciali, un po' più jamaicani e anche un po' più abbronzati, che tramite la sua storia qualche raggio di sole dall'isola di Bob Marley e Usain Bolt è arrivato pure a noi.
"2 Times Revolution" è il terzo album ufficiale, il quarto se si considera lo strumentale "Dub Clash". "2 Times Revolution" simboleggia l'ambivalenza della rivoluzione, un processo che avviene sul piano fisico e spirituale, e che se non riesce la prima volta ci lascia sempre una seconda chance, basta volerlo davvero. È che la rivoluzione, Alberto D'Ascola, l'aveva già fatta: quando da Stena si era trasformato in Alborosie, e aveva deciso di volare ai Caraibi per mostrare a tutti come anche un white man può fare successo con il reggae lì dove quella musica nasce e cresce. Il suono di "Soul Pirate" era a suo modo rivoluzionario, quel suono così antico e così nuovo al tempo stesso, con produzioni impeccabili, perfette. E con quello Albo è diventato uno degli artisti più suonati nelle dancehall, insieme a Gentleman una delle icone del reggae europeo di qualità. Il nuovo lavoro, paradossalmente, suona meno rivoluzionario, più comodo, come se l'obiettivo fosse quello di mantenere quanto costruito in precedenza senza apportare novità sostanziali.
Apertura alla grande con "Rolling Like a Rock", roots massiccio, fiero, solido come una roccia. In "Respect", con Junior Reid, ai suoni roots reggae si aggiunge un beat hip hop, per una produzione potente e d'impatto. Pupa Albo cavalca il ritmo con abilità, sia quando canta in patois, che in spagnolo ("La Revolucion"), o quando contamina il tutto con le atmosfere maccaroniche di "International Drama". È un disco che spesso si lascia cullare da reminiscenze anni Novanta, che ricordano il Buju Banton illuminato di "'Til Shiloh" in pezzi come "I Wanna Go Home" e "You Make Me Feel Good" o, con "Raggamuffin", il ragga - hip hop che spopolava tanto in Jamaica che in USA nell'ultimo decennio del secolo scorso.
Non ci sono momenti indimenticabili, non si trovano hit del peso di un quintale, ma scorre via bene, piacevole, come un viaggio di sola andata Orio al Serio – Kingston. È un disco maturo, di un artista che ha fatto del Mondo la sua casa, un patrimonio di tutti, uno che la rivoluzione l'ha già fatta. Ora tocca a noi.
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