Quello che i Plootoh, da Catania, ci vogliono descrivere è un viaggio introspettivo che si sospinge all'estremo dei confini di un animo chiaramente in subbuglio. Con il loro album metafisico, e con i loro brani amalgamati per bene a concetti filosofici, propongono testi che aleggiano, galleggiando come sospesi ("muoio un po' quando mi accorgo che qualcosa può cambiare senza far rumore"), mentre l'atmosfera predominante è di musica nettamente sperimentale e alternativa.
I Plootoh si esprimono, come implodendo, attraverso chitarre acustiche, synth, slide, rumori e cori di sottofondo, metallofoni e hammond, brevi accordi blues che si spezzano, note prolungate in un iperspazio che sembra leggero, sottile, privo di gravità. Il principio della loro musica prende forma su una stratificazione di rock basilare, su cui viene costruito un labirinto di sonorità diverse, talvolta dissonanti, più simili ad illusioni sonore.
È difficile dire a cosa possono somigliare, dal momento che ritagliano abilmente pezzi di tutto, e trovano un modo del tutto diverso per descriversi e per presentarsi a chi li ascolta. Non possono essere che di spunto per l'ambiente sperimentale Italiano, anche se talvolta mancano un po' di brio.
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