Metafore di rinnovamento tra guerra e ricostruzione in un disco dalla disarmante intensità.
Ascoltare “Teoria del piano zero” è come imbattersi in uno di quei libri il cui senso diventa più chiaro e profondo mano a mano che il finale si avvicina, aprendosi al contempo a diversi livelli di comprensione. Mi viene in mente Calvino, con “Il sentiero di nidi di ragno”, che, a leggerlo quando hai dodici anni nell'ora di narrativa alle scuole medie è solo la storia di un bimbo che racconta la guerra, una favola antica e moderna. Poi ci pensi bene, o lo sfogli dopo anni, e prendi coscienza degli orrori che quella guerra ha portato con sé e, al tempo stesso, ti accorgi che ogni conflitto, mondiale o interiore, è insieme metafora e possibilità di ricostruzione.
Allo stesso modo, i Lemmings ci accompagnano, con il loro concept, attraverso gli scenari apocalittici di quello che sembra un attento documentario sugli episodi cardine del '39-'45, ma che nasconde i segni di una visione più ampia. Le battaglie combattute diventano specchio di ogni fallimento politico, personale o sociale, di ogni umana pulsione, sentimento, paura, imbarazzo.
Le armi impugnate sono le derive più oscure del folk. Ne sono esempio “La spirale delle formiche”, in cui il giro ipnotico di chitarra descrive un altro giro, quello delle laboriose operaie incapaci di comunicare e di ribellarsi al potere costituito, e la bellissima “Il lattaio”. In entrambi i casi, rileviamo affinità con i concittadini Spiritual Front, al cui nichilismo i Lemmings oppongono però la propria ostinata speranza. Nei pezzi più schiettamente ispirati al rock all'italiana (“Grune Line” e “Una risata ci seppellirà”) la sessione ritmica è mitragliatrice che non lascia scampo. Ma la delicatezza salvifica, che stempera lo scempio dei corpi mutilati, è affidata a canzoni ispirate a un cantautorato elegante. Lo spirito di Fabrizio De Andrè accompagna “Hiroshima”, un'esplosione lenta, filtrata dall'anima, e “Laura”, figura poetica che incede tra le macerie e che sembra rubata dalle pagine de “La bufera” di Montale. I pezzi scorrono come fotogrammi di un film, spezzoni di una storia unica dalla straordinaria organicità.
Il senso di questo splendido concept è svelato solo dall'omonima traccia finale, che ci racconta, schivando i rischi di una facile retorica, come sia possibile, e ancor più necessario, scegliere di edificare nuove certezze e nuove prospettive sulle rovine di ciò che è andato distrutto. Per quanto riguarda la musica italiana, con “Teoria del piano zero” i Lemmings sembrano incarnare proprio quella speranza di ricostruzione a cui dedicano nove canzoni così dannatamente belle.
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La recensione Teoria del piano zero di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-03-07 00:00:00
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