Sono passati due anni da "Calvino", il precedente album dei Vegetable G, quelli giusti per imprimere una svolta pesante a un sound dotato di molte potenzialità, spesso oscurate da quelle che appariva essere un limite espressivo: l'utilizzo dell'inglese. È arrivato l'italiano, e con sé una marea di nuove intuizioni, idee, folgorazioni. In primis, un importante cambiamento: quello di un immaginario artistico che muta profondamente dall'interno. Una maturazione palpabile e spesso evidente. Dalla nostalgia eighties ed infantile di "Calvino", alle infinite connessioni tra amore e spazio. In una ricerca continua di ciò che appare assoluto interminabile, eterno, indefinibile. Dal tesoro dei ricordi, al mistero dell'amore. Sentimenti paralleli, equilibri infiniti, scanditi dai fiati iperuranici di Enrico Gabrielli nella title-track, visionari come ne "Il cielo di Van Gogh", rigeneranti come ne "L'idea del Plancton". Ed è proprio nella ricerca di quel "qualcosa", fil rouge di tutti i brani, è contenuta una forma di ribellione innocente e meravigliosa: la poesia come fuga dallo squallore, dal vuoto pneumatico della nostra interiorità.
Liriche incastonate in cornici i cui riferimenti sono soliti, inevitabili quando si parla di indiepop italico: dalle venature electropop proprie dei Bluvertigo ("La voce di Pan"), ai frammenti impressionisti-naif dei Perturbazione ("La filastrocca dei nove pianeti"), digressioni fiabesche ("Le avventure dell'oblò"), fino all'adorato Battisti epoca Panella e astrattista. Onnipresente è l'amore, raccontato in un almanacco terrestre sempre sospeso nell'incrollabilità dell'infinito, è una dinamica eterna, in cui orbite e cellule sono la stessa cosa, mosse da un qualcosa di più forte, di alto, di meravigliosamente sconosciuto.
Pop come leggerezza dell'ascesa, un'anima che sale più in alto delle teste imparruccate di chi non vuole invecchiare, di chi usa il botox per non accettare la delicatezza semplice dell'essere, più in alto della disumanizzazione dell'apparenza, della paura verso la diversità. Propria, altrui. Come nell'intenso amore verso l'umanità, contenuta nella verità del non-umano di "Galaxy Express".
Un album misterioso e criptico, da far ascoltare a chi, obbligato a guardare sempre i propri piedi compressi al suolo, non volge mai lo sguardo verso un cielo stellato. Per chi è costretto a navigare, costretto da un'invenzione infernale chiamata orologio che scandisce istanti e momenti. Un elogio alla relatività che suona controcorrente, un disco luminoso. Un bel passo in avanti per i Vegetable G. Un tocco di splendente divagazione, della quale sentivamo tanto il bisogno. Musica leggera, per l'appunto.
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