Chiunque frequenti da tempo il (mini) panorama pop italiano, sa certamente chi sia Mark Zonda. Per chi non lo sappia, più che raccontare il suo presenzialismo estremo ai concerti da una parte all'altra dello stivale e il suo sfornare canzoni con lo stesso ritmo con cui una teenager milanese sforna muffin per non studiare, mi basterà ricordarvi di come il cantante del gruppo forlivese qualche mese fa si sia comprato l'homepage di Pitchfork (sì, sul serio).
Insomma, nei Tiny Tide traspare una voglia di "starci dentro" che a volte trascende la musica stessa. Per anni i loro pezzi sono stati omaggi e tributi all'indiepop scandinavo e inglese da cui riprendevano i toni finto-adolescenziali e quel pop diabetico che la voce di Zonda provvedeva a rendere ancora più sbilenco dei cugini d'albione. "There is a Girl that Never Goes Out" conferma già dal titolo il grado di citazionismo incluso nel disco, anche se poi di smithsiano dentro non c'è nemmeno un gladiolo. Piuttosto, è una sorta di concept album sugli amori impossibili, che parte con acidissimi pezzi elettro-eighties che sanno di songwriting andato a male, per poi di risalire pian piano la crina in canzoni che si rifanno a pieno all'indiepop inglese dello stesso periodo.
"Come along pond" ha un bel tiro, unito a quel tocco pop-shoegaze che è tornato in voga qualche anno fa con i Pains Of Being Pure At Heart, "Diamond for Marina" è la "Tropicana" di trent'anni dopo, mentre "When Gary met Putih" la canzone kindergarden che fa il verso al twee giapponese più estremo, toccando livelli di pucciness davvero inimmaginabili. Insomma, la sensazione finale è piuttosto ambigua: la sottile linea che separa l'omaggio e la copia sbiadita, l'entusiasta e il raffazzonato, il dolce dal melenso è infinitamente più sottile di quanto pensiamo.
---
La recensione There is a Girl that Never Goes Out di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-09-16 00:00:00
COMMENTI