“Verdelegno” parte con una marcia in più grazie all'affascinante artwork: un cofanetto in legno, inciso sulle due facce, alle cui venature è affidato il compito di rendere unica ogni copia. Un gruppo che fa un lavoro del genere dimostra già l'amore e l'attenzione che ha riversato nella sua opera.
L'ambientazione è la landa ghiacciata d'Islanda, dove gli Ancher si sono recati per registrare, forse alla ricerca di quell'atmosfera alla Sigur Ròs che permea tutto il disco; e l'Italia si sente in quei brani che richiamano la coppia De Andrè/Fossati di “Anime salve”, come “Toracebrace”, quasi una danza popolare, o “Vieni su”, un richiamo nostalgico dai toni antichi. Alcuni hanno la capacità sinestetica della musica per film di costruire spazi, creare luoghi (“Tiglio”, “Sai è da quando"); tutti i brani sono curatissimi nei suoni, con arrangiamenti pieni, ma mai invasivi. La voce è un cantico lontano, i testi piccoli affreschi di sentimenti mai sentimentali, ricchi di immagini e immaginari.
L'impalpabilità avvicina “Verdelegno” al post-rock, la tradizione l'allontana dall'ambient. Un bel disco, da ascoltare e da toccare, per sentire il contatto con la natura (della musica) sulle dita.
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