Sarà probabilmente complicato raccontarvi di "They know" senza fare paragoni col passato. Non é bello, infatti, parlare del presente rimarcando le differenze con ciò che é stato, ma ascoltando questa dozzina di pezzi sembra quantomeno sorprendente ritrovare i News For Lulu, dopo oltre 5 anni di distanza da "Ten little white monsters", rivestiti completamente a nuovo. Perché se all'epoca il loro sound era, almeno per il sottoscritto, una delle migliori istantanee che si potesse mostrare al mondo per raffigurare il genere indie nello stivale, stavolta non possiamo minimamente pensare che basti così poco per raccontare la rinnovata ispirazione del quintetto pavese. Non si tratterà magari di una vera e propria rivoluzione di genere, ma poco ci manca, visto e considerato che la band fa un balzo in avanti che non era minimamente immaginabile. Cioé, era lecito aspettarsi qualcosa di buono, ma non di così buono per un gruppo che é solo al suo secondo disco e sembra già in grado di tenere testa ai nomi più quotati del genere americana. Poi siamo tutti consapevoli, loro per primi, che ci vorrà ancora molto tempo e tanta esperienza prima di concorrere con Jeff Tweedy (il nume tutelare in assoluto), ma in "They know" si percepiscono chiaramente le coordinate sonore a cui i cinque stanno puntando. E c'é da rimanere sorpresi del fatto che anche in Italia sia presente sulla scena una formazione in grado di interpretare in maniera così brillante certi immaginari che pensavamo solo appannaggio di alcuni nomi stranieri.
I News For Lulu si mettono quindi , volontariamente o meno, sulla scia di Wilco ("They know", "Delivery girl", "Like a thief") e Sufjan Stevens ("Some refused", "We slept on the sidewalk", "Let's Grow Up Like Fishes"), ma anche di Jayhawks ("Like a rat"), Uncle Tupelo e persino Counting Crows ("Cathedrals") per imbastire 12 canzoni colorate dove riescono quasi a fare magie, azzeccando arrangiamenti di fiati e archi che mai avremmo immaginato così piacevoli. E probabilmente neppure loro, visto e considerato che finite le registrazioni del disco scrivevano così sul loro blog: "Abbiamo scoperto quanto ci piacciono il wurlitzer, il mellotron e il vibrafono. E gli strumenti a fiato…". Per cui non è un caso che qui dentro ci abbiano stipato tutto quanto li abbia affascinati in questi anni, affidando poi a Bruno Germano dei Settlefish il compito, tutt'altro che facile, di dipanare la matassa, mettendo ordine in 12 tracce ricchissime di sfumature e suggestioni sonore.
Alla fine il risultato, sorprendentemente bello, è quello di trovarsi di fronte ad un album (italianissimo) di spessore internazionale che ci auguriamo faccia sfracelli non solo nelle classifiche di fine anno ma anche lì dove (tipo il SouthBySouthWest) i cinque di Pavia potrebbero sembrare inizialmente i classici italiani "spacconi". Ma non impiegheranno molto per dimostrare il loro valore, trovando magari oltreOceano il consenso e i (grandi) numeri che meritano.
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