L’originalità è la ricerca spasmodica - e impossibile - che ossessiona l'uomo occidentale. Se vista da parte di un orientale, naturalmente. Se assumiamo le difese della personalità, contro (o ignorando) ogni pretesa di novità, il nuovo lavoro dei Lento appare come un must del post-core, quasi un capolavoro.
Forti di tour europei, e di una produzione eccellente, grazie all’operosità di musicisti come Matteo Spinazzè (Zu), che si è preso cura dei tamburi, e Lorenzo Stecconi (Ufomammut), a trattare chitarre e basso, la formazione romana firma un lavoro potente e incredibilmente incisivo, capace di ritagliarsi con prepotenza un posto di rilievo nel panorama sludge internazionale.
“Then” è una funerea sinfonia screziata di neoclassicismo (una Neverland in cui Albinoni potrebbe contrarre rapporti impuri con i Candlemass). Macchiata di prog e scura più del cuore del kaiser è “Hymn”, con picchi di saturazione e vuoti abissali; un certo sghembo noise raggiunge le vette di “Limb” (e “Hymen”), non senza punte di metal puro, dove il drumming si libra, raggiungendo un fragoroso successo.
Certo, si potrà obiettare che vicini (molto) sono i Neurosis e gli Isis, che a lato tengono i Pelican e che al centro innervano un cuore di doom piuttosto vetero e codificato. Ma chissenefrega: se un disco suona così, l’unica cosa da fare è spararlo a palla.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.