"I had a heart that loved you so much". E poi? E poi le cose si fanno complicate, volontà sentimenti ed intenzioni smettono di coincidere e restano frammenti di storie e di parole non dette da raccontare. Raccontare per alleviare il dolore o per ritornare a sentire il battito di quel cuore che un tempo ci ha ingannati e che ora si crede di non avere più. Niente di nuovo insomma, eppure questo è quanto propongono gli Emily Plays. Dopo ripetuti cambi di formazione, Sara Poma è riuscita nel suo progetto ed è approdata al suo primo album.
La traccia d'apertura ("Hands that don't catch") ci trasporta con fare post-rock nel bel mezzo di questo racconto, popolato da ombre di figure che non ci sono più, attraverso cui si muove chiara, distinta e intrigante al tempo stesso la voce di Sara. Ma già subito nella seconda traccia ("When you say it's borken"), la vocazione più apertamente melodica - che peraltro sembra essere implicita nel titolo dell'album, traduzione di un famoso pezzo di Mino Reitano - prende il sopravvento, appoggiandosi ad un'attitudine rock-folk che mette da parte quelle atmosfere sospese e lascia il posto a una maggiore risolutezza ("December", "On and on"). Così l'album si (e ci) tiene in un dolce equilibrio, tra una dimensione più introspettiva, ("Sightseeing train", "These words won't count") e il suo lato più dichiaratamente pop, adatto all'immediatezza dei sentimenti a tinte forti.
"I had a heart that loved you so much" è uno di quegli album che non lo si apprezza per il primo impatto, non è un colpo di fulmine, ma un affetto duraturo che piano piano si insinua tra gli ascolti preferiti di questo autunno. Poco importa in questo caso se non c'è niente di nuovo davvero: su tutto prevale la dolcezza incrinata della musica.
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