Non riesco proprio a decidermi se il giudizio di questo lavoro debba essere positivo o negativo. In effetti, nell’ascoltarlo, sono preso da entrambe le sensazioni, visto che la musica nel suo scorrere, mostra luci e ombre in uguale quantità. Si nota soprattutto una certa differenza tra i vari strumenti in gioco. Le chitarre sono certamente più inclini alla ricerca e alla sperimentazione e si innalzano spesso a lambire il feedback psichedelico di band come Bardo Pond o Mogwai. La sezione ritmica e la voce, viceversa, rimangono ancorate a terra, percorrendo strade che, nonostante le deviazioni, conducono ai soliti Marlene Kuntz.
A seconda dello strumento che prevale, prevalgono quindi in me la delusione o l’esaltazione. Manca anche la forza di portare alle estreme conseguenze le istanze più sperimentali. La trance percussiva del primo brano dura solo tre minuti per poi svanire in una canzoncina molto convenzionale. La stessa cosa accade nella terza traccia dove un’evocativa suite rumorista lascia il posto a un finale ordinato e pulito. Le idee ci sono, la verve anche, ma nel campo del rock psichedelico oggigiorno bisogna avere il coraggio di osare molto di più.
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