Ognuno ha un blues che gli suona dentro. Adriano e Cesare, dal Tufello, lo portano avanti infettandolo con l’italiano. Una garanzia di dinamite.
Ci era già arrivato Pino Daniele negli anni ’80. A noi italiani "ce piace ‘o blues". Sarà per quella sottospecie di autolesionismo che ci fa sostare sempre l’anima in malora, oppure per la cadenza ritmata e biascicata del passo da lonesome boy. Per questo esiste gente come i Bud Spencer Blues Explosion, che, anche se nata sotto le zinne di mamma Roma, col suono dei cotton fields e delle blue notes ci si sposa a perfezione. Il risultato? Qualcosa che ha probabilmente senso solo qui e ora e che trova nella sua chiave di apparente debolezza (la scelta di cantare in italiano) il modo col quale risultare invece potente e originale. Adriano e Cesare, prima della tecnica, delle capacità, delle palle dure, hanno lo spirito giusto per incarnare una roba di questo tipo: non si sparano pose da rockers maledetti, non giocano a fare il revival e soprattutto non se la menano troppo sul potenziale significante della loro musica. Che abbiano la scorza giusta lo senti da un pezzo come “Hamburger”: hard blues detonato al 100%, e soprattutto un testo che, in parole povere, non dice un cazzo di niente. Solo suono funzionale alla forma, fonema che diventa sostanza. D’altronde, basta poco per essere onesti.
Questo “Do it”, più del disco precedente, è figlio del percorso BSBE degli ultimi due anni. Dal passo dall’anonimato verso il grande pubblico (2009: concertone Primo Maggio), a quell’esplosione definitiva auspicata da tutti (critica in primis) e non ancora definitivamente arrivata. In risposta decine di live incendiari su e giù per lo stivale, side-project coltivati con cura (Black Friday su tutti), un disco live che era pura benzedrina buttata sui classici del genere e un’idea di musica sporca e grezza divenuta ancora più consapevole dei propri mezzi. Gli affondi dei due, stavolta, pur nella loro indole selvaggia, sono ancora più calibrati. Oltretutto si coglie subito la grande sinergia esistente tra singolo particolare e sceneggiatura poi finale (un pezzo come “Più del minimo” ne è l’esempio lampante). A partire dall’intro di slide guitar, l’intero disco sembra un’unica live session registrata tutta d’un fiato e punteggiata poi dai dovuti ritocchi (una svisata di piano rhodes, qualche chitarra in più qua e là): continui stop&go, parti più tirate, concessioni alla melodia.
E poi, soprattutto, ogni singolo pezzo emerge in tutta la sua abrasiva personalità, non c’è neanche il minimo accenno a una caduta di tono, ed è un piacere ascoltare l’album per gli oltre 40 minuti della sua durata. In realtà è una cosa meno facile di quanto possa sembrare, considerando le diverse anime insite nel fondo della musica dei Bud. Che, nonostante tutto, riescono a far convivere con estrema naturalezza la flanella e il pop, Ry Cooder e Alex Britti, le scale pentatoniche con gli scratch di Dj Myke. La definizione di originalità e personalità sta, più che nell’italiano, proprio in questo. Pertanto, scordatevi i paragoni azzardati con Black Keys o White Stripes, i BSBE semmai sono di un’altra razza. Più bastarda e, come al solito, ansiosa di catturare la vostra attenzione.
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La recensione Do It di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-11-23 00:00:00
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