Prendi appunti, che qua si parla di cose importanti. Prendi appunti che questa è la volta che impari qual è la differenza che passa fra "fenomeno" e "leggenda". Che di fenomeni ce ne sono tanti, spopolano in un dato momento, mettono la faccia ovunque, conquistano le grandi folle. E son tutti bravi, tutti belli, tutti simpatici e si ascoltano volentieri. Non è ironia eh, dico davvero, la scena di oggi è ricca di personaggi assolutamente validi. Ma sono tutti fenomeni. Una leggenda è qualcosa di diverso: è meno vistosa, meno rumorosa, ma molto più forte e duratura.
La leggenda si chiama Kaos e ha pubblicato il nuovo "Post Scripta", a distanza di quattro anni dall'album precedente. Non c'è stata nessuna comunicazione ufficiale, nessuna anticipazione sui social network, nessun martellamento da parte degli uffici stampa. Solamente una preview apparsa pochi giorni prima dell'uscita su Amazon, e che in poche ore ha fatto il giro della rete grazie al passaparola. Perché con le leggende funziona così: è la gente a tramandarle, non sono loro a parlare di sé. E subito arriva l'album, insieme al primo videoclip in ben venticinque anni di carriera. Ecco, ora non è per fare i nostalgici, ma vedere Kaos su Youtube, sentirlo raccontarsi come solo lui sa fare, con la sua voce graffiante, mi ha fatto realizzare che durante i quattro anni trascorsi dall'uscita di "kARMA" è stato lasciato un vuoto enorme.
Sono gli stessi anni in cui il rap in Italia ha conquistato il grande pubblico, con il proliferare di nuovi artisti macina click. Ma mancava qualcuno in grado di mettere lacrime e sangue in ogni parola scritta, qualcuno che ti sembra di conoscere profondamente dopo aver ascoltato un suo testo, qualcuno con tecnica, spessore umano e storia, qualcuno che si fa ascoltare prima con il cuore e poi con le orecchie, qualcuno per cui fare musica è davvero urgente e necessario, qualcuno come Kaos. Quando aveva detto "Questa è la fine" nessuno ci aveva creduto, perché l'aveva giurato quindici anni fa: "Sposato con la dopa finché morte non ci separi". E oggi è ancora qua, e vuoi sapere com'è? "A sedici anni stavo messo male, vent'anni dopo messo uguale, stesso antisociale". È Kaos al cento per cento, oscuro, introspettivo, rabbioso, più maturo, forse anche più stanco, ma sempre vero. Perché l'obiettivo è sempre lo stesso: "Non è stare al centro, ma solo uscirne vivo".
"Post Scripta" è totalmente autoprodotto, privo di ospiti, composto da sole otto tracce. Forse non è nemmeno il suo lavoro migliore, ma è comunque necessario, perché Kaos è necessario: è quello da cui tutti possono imparare qualcosa, e ogni suo album è uno schiaffetto correttivo. "Dico minchiate e mi chiamate Maestro", ma in quale altro modo vorresti chiamare uno che spacca il culo dall'inizio, e che nonostante tutto rimane sempre di un umiltà sconcertante? E poi questo lavoro è la dimostrazione che in fondo la meritocrazia esiste, e a premiare una carriera costante e senza nemmeno una pecca stilistica, ci sono la prima posizione raggiunta nelle vendite digitali e un canale Youtube che in pochi giorni ha fatto centinaia di migliaia di click. Proprio come i fenomeni, ma con una differenza: che a quel "Goodbye" in copertina non crede nessuno neanche questa volta, e già si attende il prossimo album. Perché le leggende non muoiono mai.
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La recensione Post Scripta di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-11-16 00:00:00
COMMENTI (4)
E' tornato a dare due piste a tutti. E le ha date.
Indiscutibile.
Immenso.
In una parola: Kaos.
Disco fenomenale sotto ogni sfumatura, non ve n'e' :).
Grazie di esistere Don.
il re
Statuario.
P.S.
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