Se speravate di trovare roba commestibile - mi spiace deludervi - qui non ce n'è. "Le bacche di Ginebra" sono poco gustose e molto elettriche: un dramma per chi - come me - un disco vuole assaporarlo.
Il quintetto mantovano si è cimentato in questa prima fatica autoprodotta con poca consapevolezza ed un'eccessiva immaturità. L'ingrediente base è quello di un rock stereotipato, con riff ripetitivi, che rendono il suono prevedibile e inconsistente. C'è uno spiraglio di luce con i giri di basso della radiofonica "Il nucleo", poi temporali d'apertura (banalissimi) in "Mi accorgo che" e una traccia conclusiva che indossa vesti acustiche (tradizione vuole che un disco crudo come questo necessiti di un pezzo acustico nel finale).
Un EP che pecca dal lato sonoro - poco deciso e definito - e dal lato comunicativo: qui le idee potrebbero esserci, ma viaggiano su strade troppo confuse, pagando in 'immediatezza.
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