Non è tanto questione di presunzione, quanto di consapevolezza ed evoluzione. Perché se prendiamo la discografia di Fabio Rizzo, meglio noto come Marracash, troviamo la descrizione cronologica di varie fasi differenti. Tre anni, tre fasi. All'inizio era solo “Marracash”, noto anche come il Principe della Barona, quello che da un marciapiede di Milano cominciava a salire i gradini dell'industria discografica. Due anni dopo se ne stava seduto in cima al Pirellone a guardare in basso e pensare “Fino a Qui Tutto Bene”. E oggi è “Il King del Rap”. E, almeno fino a che qualcuno con pari influenza e altrettanta abilità si faccia vivo per buttarlo giù a calci, è probabile che rimanga seduto comodamente sul trono per un po'.
“King del Rap” è un gran disco, non c'è nulla da dire. Marra è al cento per cento nel business, meno concentrato sullo storytelling rispetto al primo album e meno preoccupato dal problema dell'atterraggio come invece lo era in “Fino a Qui Tutto Bene”. In “King del Rap”, pensa solo a fare rap e lo fa alla grande. La sua ironia intelligente è al top, i giochi di parole sono geniali, l'attitudine da ragazzo di quartiere è sempre presente e ben sfruttata per raccontare l'Italia del 2011.
Si passa dalla cazzonaggine di “S.E.N.I.C.A.R.” con Gué Pequeno al ritratto lucido dell'oggi di “In Faccia” e “Quando Sarò Morto” con Fabri Fibra e Jake La Furia fino all'autocelebrazione di “Marrageddon” con Salmo. Anche i suoni sono estremamente vari: in “King del Rap” c'è hip hop, dubstep, cassa dritta, synth e chitarre. Tutto tenuto insieme dal flow di Marra, che riesce a non sembrare fuori luogo in nessuna situazione. E mo' provaci tu a tirarlo giù dal trono.
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