Da Robert Johnson ai Negrita, per un rock antiquato e privo di appeal. Prendiamoci una sbronza, magari questo EP sembrerà più bello.
Da Robert Johnson ai Negrita. Dal blues anni '50, al rock di fine secolo targato Italia. Chitarroni distorti e pesanti, riffoni d’antan e armoniche sparate in primo piano. Il rock, quello tamarro, quello conservatore e tradizionalista quanto l’agnello del pranzo di Pasqua, “è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo” (“Blaim!”). Ma anche no! Questo, il mio responso alla citazione e dichiarazione d’intenti enunciata dalla band toscana.
E non basta (o serve) certo il richiamo al romanzo da cui è stato tratto “Blade Runner” (“Do Androids Dream Of Electric Sheep?” di Philip K. Dick), per risultare interessanti o curiosi. Tantomeno un immaginario alcolico, fumoso, un po’ blu(es) e un po’ country, già di per sé trito e ritrito, per porsi in maniera credibile o attrattiva. Se in “Blaim!” infatti, giocano a Il Teatro degli Orrori, poi tornano istantaneamente sui solidi e battuti sentieri di una poetica sonora oramai antiquata. Come da prevedibile copione, nei rimanenti tre brani, Litfiba, Stones e Led Zeppelin diventano “IL” (solo e unico) codice strumentale (non me ne vogliano assolutamente le band citate).
Spesso, quello del recensore, è davvero uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.
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La recensione EP di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-02-22 00:00:00
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