Sono bravi, meritano più di una chances. Non sono ancora un treno in corsa che travolge generi e definizioni, ma possono arrivarci.
Porca puttana che inizio: "Are You happy" è un bel monolite, un grunge leggermente obliquo alla Audioslave, con tutta la band che va in quell'unica direzione. Come minimo stupisce. Oltretutto "One Shot, One Kill" è un disco registrato in presa diretta in poco più di tre ore (dice la descrizione), tanto di cappello. Insomma: una band grunge convinta di quello che fa, nonostante, immagino, più di una persona gli avrà fatto notare di essere un tantino demodè. Purtroppo i Jonathan Grass hanno più di un difetto: appena rallentano si capisce che sono fin troppo aderenti al genere scelto ("Pussies" è il picco negativo, immersa in chitarre psichdeliche di cui ti sei stancato già dopo il primo minuto); poi c'è la voce, che certamente non è sicura nel suo ruolo, con la solita pronuncia inglese nella media dei cantanti italiani (e quindi scandentissima) e, senza troppo girarci intorno, senza un timbro genuinamente bello e potente, quello tipico di cantanti nati apposta per cantare.
Quando picchiano, tutto torna a posto: "Pieces of brain" e "Texas rodeo" rialzano l'asticella e riportano a galla un giudizio complessivo più che positivo. Perchè sono bravi, meritano più di una chances. Non sono ancora un treno in corsa che travolge generi e definizioni, ma possono arrivarci.
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La recensione One Shot, One Kill. The Arcipelago Session. di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-11-23 00:00:00
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