Esistono alcune rime che stridono, nonostante siano perfette grammaticalmente e strutturalmente e funzionino bene anche al suono. Un po' come succede a cinismo e romanticismo quando si scontrano. Il nuovo album del cantautore pugliese Paolo Zanardi, a quattro anni di distanza dall'ultimo, oscilla in precario equilibrio tra questi due poli.
Il lato anarco-sarcastico di “Harem” e quello più intimo e sentimentale della title track sfociano in un lavoro ricco di idee eterogenee, che spinge la propria creatività fino a mostrare anche l'anima nostalgica per il “Postalmarket”. L'orizzonte si amplia arrivando a “Arbeit Macht Frei” che, liberamente ispirato ai fatti della ThyssenKrupp, si avvale di due ospiti d'eccezione, Caparezza e Antonio Rezza. Non così lontano da Rino Gaetano per i suoi testi incisivi e scanzonati, Zanardi ama definire se stesso e il suo stile personale più che originale, per non cadere nel mediamente banale, rischio a cui lui sfugge con la sua arguzia.
L'album è interamente autoprodotto per concomitanza di cause. Come il mancato tempismo per un amore che non ci vuole quando noi lo vogliamo, ma poi ci viene a cercare, forse le case discografiche ci sono ma non sono quelle giuste. Peccato, per loro. Per fortuna nostra, invece, Paolo Zanardi non si è intimorito di fronte ad una strada solitaria e in salita. Al contrario dell'apparenza, c'è da scommettere su un quarantenne che si presenta alla porta con scarpe di tela e fiori finti.
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