Avete presente quando cominciate l'ascolto di un disco e, dopo i primi tre brani, temete che il prosieguo non mantenga quel livello? È la paura di essere delusi quando le nostre aspettative si sono fatte già alte. Per fortuna il meraviglioso disco di Esperanza non evoca quello scenario. Sì, ho detto meraviglioso, e non ho paura di ripeterlo. Come altrimenti dovrei chiamare questo florilegio di nove tracce, una più diversa dall'altra, che condensano una incredibile varietà di riferimenti entro arrangiamenti finissimi e strutture mai scontate?
L'attacco è già qualcosa di speciale: "Aliante giallo", un'atmoseferica strumentale dub house che evoca certe cose dei Silicone Soul, sporcata da chitarre noise nella sua parte centrale. "Fiore" ha invece un andamento dubstep (evidente anche nel trattamento di rullante e voci) profumato di fisarmonica e chitarre psichedeliche; "Hanamachi" certifica il lavoro di cesello effettuato su tutto il lato sonoro del disco (sentire uso degli effetti e spazializzazione del suono al principio del brano); "Harp", ballatona su loop - appunto - di arpa, stab di piano, arpeggiatori e pad, è contemporaneamente un richiamo a The Knife e Friendly Fires, potenziale singolo per palati fini.
"Jaipur" rimette tutto in gioco con un tiro dance-rock orrorifico zona Can con tanto di break percussivo alla Shackleton, mentre "Sirena" ritorna su ritmi trip hop (lo so, non fate quelle facce) ed è un altro potenziale singolo cantato. "Wasting our time" rallenta ancora sullo slo-mo con voci suonate sul sintetizzatore (una tecnica presente anche nelle prime produzioni di Kevin Saunderson a nome Inner City), mentre "Whale" conferma l'ispirazione ottanteggiante alphavilliana tra clap in delay, steel guitar, percussioni e voci come sopra.
Non lasciatevelo sfuggire perché di album di questo genere, in Italia, se ne ascoltano davvero pochi.
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