Un album impegnato e concreto. Rock tirato a lucido e nostalgia ben confezionata, ma la rivoluzione ha il suo domicilio da tutt’altra parte.
Dalla Puglia con furore! "One Way Ticket to hell…and not come back, please!” Direttamente dal girone più caldo dell’inferno del rock, il quartetto barese ci scaglia contro un album arrabbiato, anzi, rabbioso e rancoroso (e come biasimarli del resto). La band infatti, si definisce impegnata, concretamente in prima linea. In trincea a suon di Gibson Les Paul utilizzate come baionette, per combattere battaglie civili e sociali. E se il disco precedente era duro e puro rock, ora con “L’Infezione”, alzano il tiro e la proposta musicale-letteraria si fa molto più pretenziosa. Il gruppo vuole cambiare le cose, sovvertire le regole e “ribaltare il sistema”, e di certo la determinazione/cocciutaggine è quella giusta. “Rock'n'roll will never die”, quindi. Anche se, è difficile immaginare un profondo cambiamento culturale messo in atto da individui/musicisti “intrappolati” in una lontana dimensione spazio-temporale-sonora.
Le liriche rockettare colme di arringhe e la cifra musicale stessa, infatti, sono un concentrato di citazioni più o meno anacronistiche. Un pentolone in cui vengono miscelati grossolanamente il grunge alla Pearl Jam, svuotato però di quell'inconfondibile e irriproducibile tormento, e Pino Scotto e i suoi Vanadium. Da un passato più recente invece, vengono estrapolati pesanti campioni di Afterhours (molti brani sono palesemente figli di “Dentro Marilyn”), Le Vibrazioni post-“Dedicato a te” e i conterranei Negramaro degli esordi. Insomma, la pelle, la vera pelle! Le lunghe e folte chiome sudate, il whiskey e le “bionde” a colazione, restano l’unico immaginario di riferimento possibile. E cavalcando con quei mostri sacri dei Led Zeppelin nel cuore, la miscela anziché farsi esplosiva, fuoriesce inevitabilmente soporifera.
Le 13 tracce non stupiscono e non colpiscono. Non incuriosiscono. Oltre alla bella vocalità del leader e ad alcune ballate vecchio stampo ben riuscite, l’album vola basso. Non si schianta certo al suolo, sia chiaro, ma non riesce a decollare come vorrebbe. Rock tirato a lucido e nostalgia ben confezionata, ma la rivoluzione ha il suo domicilio da tutt’altra parte.
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La recensione L'infezione di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-02-13 00:00:00
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