Non so se avete presente quella sensazione per cui, avendo letto un libro o visto un film durante l'adolescenza, conservate il ricordo di un capolavoro assoluto, salvo poi leggerlo o guardarlo di nuovo a distanza di anni e scoprire che vi eravate decisamente sbagliati.
Ascoltando l'album omonimo dei Nynfea mi è venuto il dubbio - piuttosto lecito poiché i miei gusti oltremodo cambiati dai tempi in cui ero propensa a determinate sonorità - che tutto il gothic metal fosse un brutto genere. Così sono andata a rispolverare le mie vecchie cassette dei The Gathering e dei Within Temptation per accorgermi che la mia generalizzazione non poteva che essere sbagliata dal momento che, pur non subendo più il fascino delle candele accese e dei lunghi abiti neri, continuavo a trovare nelle melodiose voci femminili e negli arrangiamenti una certa forma di delicatezza. Caratteristica piuttosto lacunosa nella band romana.
Più vicino ai suoni pesanti dei Nightwish, il quartetto propone una personale rivisitazione del genere, in cui il ruolo tradizionalmente affidato alla tastiera, assente, è compensato da un uso intelligente e gradevole della chitarra che, nei pezzi meglio riusciti (“Inferno”, “Miele e veleno”) è accompagnamento quasi cantautorale. Il basso conferisce la giusta verve a un pezzo come “Bruciata viva”. Per il resto, le linee vocali e le scelte metriche sono piuttosto sperticate e fuori dal controllo della vocalist fino a sfociare nella lamentela pura in “Desiderio”. I testi sciorinano luoghi comuni (“Cura la mia follia con tante parole/ l'anima è eterna e oscura/ Luce che nera è”, “Eterna e oscura”) e la dozzinalità dei brani è evidente sin dai titoli, eccezion fatta per la citazione lynchiana “Fuoco cammina con me”.
Più che davanti a una ninfea, sembra di trovarsi di fronte alle acque tenebrose di uno stagno. Ma del resto il genere musicale richiede all'ascoltatore il coraggio di fronteggiare anche ambientazioni di questo tipo.
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