Con un nome così, che rimanda al mago del fumetto omonimo, nel momento in cui mi era stata assegnata la recensione avevo immaginato si potesse trattare di un gruppo la cui proposta si infilava dritta dritta nel genere grunge. Premo quindi sul tasto play senza sbirciare, di proposito, nelle note biografiche; ben facendo, tra l'altro, siccome fin dalle prime righe si rivela che "il progetto Mandrake nasce nella primavera 2010 a Livorno. Alcuni vecchi e nuovissimi brani di Giorgio Mannucci (27, già voce e chitarra nei The Walrus) vengono riarrangiati con l'ausilio di alcuni nuovi amici, incontrati grazie ad internet". Insomma, tanto sarebbe bastato per sgombrare il campo, facendo svenire l'effetto sorpresa. Che per fortuna arriva fin dal primo ascolto, trattandosi di un disco in cui si gioca allegramente col pop di matrice inglese senza mai annoiare. E anche se si tratta di un esordio a tutti gli effetti, si percepisce comunque la grande esperienza dei diversi elementi che hanno contribuito al sound di quest'album.
Giorgio Mannucci ha infatti dalla sua la grande capacità di aver tessuto una tela sulla quale i vari ospiti ricamano le rispettive parti secondo quel modello british a cui accennavamo qualche riga fa. Per cui se il nome più facile (e scontato) da tirare subito in ballo è quello degli Oasis dell'ultimo periodo targato Creation ("Black tambourine", "Neighbours"), gli altri riferimenti più o meno nascosti rimandano agli esordi tanto dei Gomez ("You’re not here") quanto a quello dei Belle & Sebastian ("Uncertain moment"). Ma il gioco dei rimandi potrebbe essere infinito: "The copelands", ad esempio, richiama (chi se li ricorda?) gli Embrace, mentre "I'm so confused (part II)" e "Nothing is predictable" si caratterizzano per una tensione emotiva che fa tornare alla mente un altro esordio, quello degli Starsailor.
In conclusione "Zarastro" rappresenta un validissimo primo passo per presentarsi sulla scena e mostrare le proprie carte. Non ci sono ancora canzoni che ci facciano rimanere a bocca aperta, ma crediamo che, lavorandoci sodo, ci sia del talento da poter dimostrare fuori e dentro i patri confini.
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