Alcuni piccoli sussulti emotivi li possiamo ricevere dalle tracce che sfiorano timidamente scenari blues, ma non bastano per fare un album convincente
La band lombarda, ha dichiarato in un'intervista che la scelta del nome LO.MO, è il risultato di diversi significati, ma principalmente è un omaggio alla macchina fotografica manuale Lomo, che ha come caratteristica la capacità di unire con uno scatto diverse prospettive, donando alla singola fotografia più dinamicità e particolarità. L'idea che sostiene il nome del gruppo è affascinante e romantica, ma rimane relegata nella stratosfera dell'idealismo: "Il Tre nel Segno", secondo disco dei LO.MO, racchiude un'unica e monolitica prospettiva: riflettere il classico cantautorato italiano anni '70 alla De Gregori, Bennato e De Andrè. Prospettiva che, se concretizzata nel modo giusto, potrebbe essere delle più lodevoli: essere associati a cantautori che hanno formato e plasmato la scena del cantautorato italiano, con dolci ballate intrise di fumo, amore, rimpianti e politica, sarebbe per il LO.MO un prestigio.
Ma questo non è il caso de "Il Tre nel segno", dove l'insieme delle sonorità, anche se tecnicamente perfette, si fonde per creare un'ambientazione statica e sfuocata, riempita da un'attentissima calibratura strumentale, fredda e troppo razionale. Suoni trascinati da un cantato - come in "Aprile", "Il segreto" e "Piccola strada", per citarne alcune - caratterizzato da un timbro vocale monotono, che rimane sospeso nel vuoto, senza riuscire mai ad avvolgere.
Alcuni piccoli sussulti emotivi li possiamo ricevere dalle tracce che sfiorano timidamente (molto timidamente) scenari blues: "Il Tre nel sogno", "Litorale". Ma questo, insieme alla partecipazione di nomi importanti come Hugo Race, non basta come garanzia, per inserire "Il Tre nel segno" nell'archivio dei dischi che convincono.
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La recensione Il tre nel segno di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-06-19 00:00:00
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