17 anni, di Salerno. In ogni suo pezzo c'è più credibilità che nell'intera produzione discografica rap italiana del 2011. Finalmente c'è qualcuno della nuovissima scuola che sembra sapere cosa sia l'hip hop, e che unisce a un buon rap la coscienza di appartenere a una cultura. Rivelazione assoluta.
A volte capitano cose che proprio non ti saresti mai aspettato. Tutto sommato basta anche poco, ché tanto il benefattore che salta fuori dall'angolo e ti regala centomila euro non arriverà mai, quindi è meglio tenere un profilo basso. Un semplice SMS può svoltarti la giornata, un incontro felice può toglierti la voglia di spaccare la faccia al mondo, e il disco d'esordio di Rocco Hunt può ridarti fiducia nelle nuovissime generazioni di rapper italiani.
Rocco ha diciassette anni, viene da Salerno e manda a casa senza sforzo la metà degli Mc che girano attualmente. Perché alla fine per piacere non è necessario essere tatuati dalla testa ai piedi, vantare beat prodotti dai pezzi da novanta della scena, fare rap a cassa dritta o scrivere le solite banalità per far colpo sui liker minorenni della tua pagina Facebook. Rocco Hunt non possiede nessuna delle caratteristiche sopra elencate: non ha le braccia piene di inchiostro e da come suona, l'album è probabilmente registrato in cameretta, mischiando beat americani con altri realizzati su misura da beatmaker italiani, tutto al sapore di Golden Age newyorkese. E in più canta in salernitano, rendendo difficile la comprensione a una buona fetta di pubblico. Eppure il video di “Nun C' Sta Paragon” sta facendo il giro del web. E il motivo è semplicissimo: stiamo parlando di un pezzone di puro rap underground come non se ne sentivano da tempo. Sì ok, il beat – potentissimo – è preso in prestito da Army Of the Pharaos, ma senti che cazzo di flow. Voce e metrica sono davvero mature considerata l'età del Nostro, e c'è più credibilità in questo singolo brano che nell'intera produzione discografica del 2011. Finalmente c'è qualcuno della nuovissima scuola che sembra sapere cosa sia l'hip hop, e che unisce a un buon rap la coscienza di appartenere a una cultura.
Iniziare l'ascolto di “Spiraglio di Periferia”, che si apre con “Rint' a' Stu Juoc”, dà sensazioni simili a quelle provate al momento della scoperta di “Chi More pe' Mme” dei Co'Sang, nell'ormai lontano 2005. Rap ben fatto, con orgoglio, attitudine e qualcosa da dire.
E più si va avanti meno pare di ascoltare l'esordio – anche se in realtà aveva già prodotto un EP e frequenta la scena campana da qualche anno - di un ragazzo di diciassette anni: la title track evoca atmosfere degne del Raekwon di “Only Built For Cuban Links”, “Senza Peccat” esprime concetti carissimi anche alle generazioni precedenti, e in “O' Mar e o' Sole”, Rocco fa la sua porca figura accanto a un liricista come Clementino su un gran bel beat di Musta. Sono solo 8 pezzi, nemmeno registrati troppo bene, ma rappresentano un vero e proprio tesoro, perché fanno capire di che stoffa è fatto il ragazzo. E non è sicuramente quella dei jeans di H&M che durano una stagione.
Rivelazione assoluta.
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La recensione Spiraglio di periferia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-01-16 00:00:00
COMMENTI (2)
spacchi Rocco! e poi l'idea di reppare nel tuo dialetto e' funzionale a quello che vuoi trasmettere.
Ma Rocco spacca davvero.