Un mare di feedback, come quiete prima della tempesta. Così l’opener “Ungod” introduce il lavoro della formazione veneziana, la cui nascita data al 2010.
Il territorio, in cui riff monolitici e growling realizzano la piena sintassi del progetto, è un piano molto battuto già da Electric Wizard, Eyehategod, Cathedral et similia, dove lo sludge incontra lo stoner e il doom, e non manca quindi l’usura del già sentito (“Avoid The Relapse”), eppure l’eco punk ruspante e abrasiva, come in “Consideration/Commiseration” e in “Avoid The Relapse”, ideale incrocio tra Celtic Frost e un Lemmy dopo la tonsillite, non manca di creare una certa tensione nell’ascolto, come pure picchi di interesse sussistono nell’iniziale spoken word e nel conseguente conato del vocalist in “Modern Slave Blues”.
Dovranno pur farsi le ossa, ma il suono è già credibilmente ruvido e la scrittura sufficientemente personale da far drizzare qualche orecchio e, perchè no, disarticolare qualche headbanger.
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