E’ dal 2009 che i Keaton Pure provano nelle cantine. A tre anni dal loro primo incontro, i musicisti romani danno alle stampe un album dall’attitudine punk e dal suono rock, nel quale il cantato è più ‘un urlato’, i piatti sono colpiti ininterrottamente, le chitarre taglienti, le ritmiche pesanti e pressanti.
Una spolverata di elettronica completa la gamma timbrica senza scalfire veemenza e tensione musicali, guardandosi bene dall’attutire anche solo in minima parte con melodie anacronistiche quello che appare più lo sfogo di un incazzato che un lavoro complesso e articolato.
Ci sta, anzi, direi che abbiamo bisogno nella nostra discoteca di almeno un’opera nella quale i nervi siano un fascio, pronti a scattare e a cedere alla soluzione finale. Questa può essere proprio “Ovvero dell'età avvilita” dei Keaton Pure: l’aggressione, la furia, la liberazione fatte note. E magari possiamo anche capire l’attimo di ripiegamento (“Un inverno ancora”) per ritrovare l’energia e ritornare sul ring, accecati dalla rabbia e dal rancore fino all’“Ultimo pezzo”.
Dopo aver placato l’animo bollente, magari al quinto o al sesto ascolto, prestiamo attenzione anche alle liriche secche e martellanti: “e me ne frego se stai bene o se sei felice” ripetuta quattro volte (“Gastrite”); “c’è chi la prende in petto chi nel culo e non vede fregatura” (“Tanto per ammazzare il tempo”).
Se invece siamo innamorati, cambiamo cd; lo possiamo sempre riprendere in mano appena tornati single contro la nostra volontà.
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