Un concept album sul diavolo, che si apre con un minuto di rumore puro per diventare poi noise minimale, pieno di citazioni, rimandi, cura dei dettagli. L’italiano diventa un mezzo per afferrare un senso più profondo, per celebrare un’idea, per raccontare lì dove la musica non basta, ed è strumento efficace, non tradisce la missione.
Un mix incisivo di chitarra e batteria sommato (come si legge sul booklet) a voci e deliri, croccante e speziato a sufficienza, teso all’estremo a tratti (“L’Illusionista”), ‘sonico’ e ricco (“Il Burattinaio”), asciutto e quasi pop con sezione ritmica à la new wave per diventare poi ballata trasandata (“Il Pensatore”). Le linee vocali scorrono su binari di nervosismo costante accendendosi in guizzi coinvolgenti, non manca mai il movimento, il battito accelerato, la visione oltre l’impressione, l’ansia.
Un artwork scavato nel bianco più accecante, gli omaggi a Pessoa, le voci registrate a casa di Giorgio Canali: come dicevo, cura dei dettagli, dettagli curiosi, e un insieme di input ammalianti che fanno di “La Ballata Di Belzebù” un disco interessante e personale, dove trovare pure la poesia di chitarre acustiche, la pausa di un recitativo, l’insolenza di un urlo, la paura incalzante, and the devil in me.
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