Rock italiano anni ’90 ben suonato che non centra però l’obiettivo
A voler trovare una rapida definizione per questo primo omonimo disco de “Il testimone” potremmo senza dubbio usare a quella di “rock italiano anni ’90”: Il testimone è un album che non suona come un disco di oggi e che fa venir fuori apertamente il suo debito ad alcune ormai storiche band italiane (Afterhours innanzitutto), con tutti i meriti e i limiti del caso.
I meriti. Il più evidente è che il disco ha un bel suono ed è ben suonato, che non è certamente scontato, soprattutto per un debutto. Complice forse anche la produzione artistica di Paolo Benvegnù, le 12 tracce riescono a mantenere sempre alta la tensione della soluzioni armoniche e strumentali. L’ascolto - da questo punto di vista - risulta allora stimolante, incuriosito, non monotono. Si alternano diversi immaginari musicali: si passa dagli archi di “E se” al basso profondo e le chitarre fuori controllo di “Per fare che”, fino a “Piove” di Modugno la ghost track che chiude l’album e che ha il grande merito di spogliare la canzone di una melodia conosciutissima, restituendole una potenza testuale un po’ dimenticata.
I limiti: nessuna canzone prende il sopravvento sulle altre (fatta eccezione forse di “Lividi”) e a quella compattezza del suono non corrisponde un folgorante incontro di melodia e testo, per cui alla fine l’album non riesce a produrre davvero qualcosa, non una storia, non un’immagine, non una melodia che resti realmente impressa. L’album insomma sembra arretrare sul suo terreno più proprio - ossia proporre canzoni all’altezza di quella tensione musicale e strumentale - ma ci vuole di più per ritagliarsi dalla fotografia di un rock di vent'anni fa, la colonna sonora un po’ sbiadita di un recente passato.
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La recensione il testimone di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-06-20 00:00:00
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