Edda
Odio i vivi 2012 - Cantautoriale, Noise, Alternativo

Odio i vivi

Se con “Semper Biot” si erano aperte delle porte sul suo mondo, ora qualcuna si richiude con violenza. Solo chi ha la testa abbastanza dura da sfondarle riesce a entrare, gli altri rimangono fuori. Rimangono vivi.

Recensire un disco di Edda è una cosa che mi spaventa un po'. È tipo quando qualcuno ti travolge con il proprio dolore: puoi decidere di condividerlo o meno, ma giudicarlo non è mai impresa facile. Voglio dire, come si fa a dare un parere lucido su dei sentimenti intimi, spontanei e necessari? Perché quello che fa Stefano Rampoldi - un uomo più che un cantautore - non è semplicemente cantare. No. L'ex Ritmo Tribale – inutile che ora mi metta a raccontarti la sua storia che tanto giàlasai – vomita un po' di se stesso in ogni nota e in ogni parola. Ci sono tanti aggettivi per descrivere la musica di uno come Edda: necessaria, affascinante, inevitabile, crudele, importante, imprevedibile, bellissima, vera, complicata, sincera, devastante. Ma piacevole non lo è quasi mai. Perché c'è dentro troppa vita, e la vita – alle volte – sa essere tutt'altro che piacevole.

“Semper Biot” era come una coltellata al cuore data con una lama dorata: ti luccicava sotto gli occhi, irresistibile e affascinante, ma intanto ti faceva un male cane. Era un album perfetto, così semplice e così tremendamente complesso: una chitarra e una voce meravigliosa e straziante, su cui pareva reggersi il mondo intero. E la magia si ripete con “Emma”, splendida apertura delicata solo in apparenza, come una carezza che ti viene data quando ti aspetti un pugno. E prima o poi – lo sai bene – quel pugno arriverà. Ci sono chitarre e archi, amore e umiliazione, l'innocenza di un bambino e l'amarezza di un adulto. Un universo fatto di donne e puttane, virilità e confusione sessuale, rassegnazione e rabbia. È l'equilibrio delle contraddizioni, roba fottutamente vera.

Un suono più elettrico rispetto all'esordio – o meglio alla rinascita – trasmette una crescente irrequietezza, un indelebile senso di inadeguatezza che proprio non vuole essere messo da parte: "L'amore diventa merda, dopo due settimane, i miei amici hanno figli, figli, figli... io ho sempre fame" (“Anna”). Al solito, Edda non è uno che ha bisogno di dare spiegazioni: "Odio i Vivi e ho i miei motivi, ma me li tengo per me". E in effetti, dal punto di vista dei contenuti, il disco è meno chiaro e diretto rispetto al precedente. Più frammentario, quasi impenetrabile, anarchico. Soprattutto nel suono, che si lascia andare spesso e volentieri a divagazioni noise che sfuggono al controllo e creano buchi neri sonori che fanno sanguinare le orecchie, improvvisamente catapultate in un universo musicale caotico, in cui la voce di Edda sembra quasi volersi nascondere. Difficile capire cosa è studiato e cosa è lasciato al caso, cosa è davvero libertà di espressione e cosa invece è frutto della voglia di spiazzare a tutti i costi. "Ricordati che devi morire, adattati; ricordati che devi morire, rilassati" (“Marika”). E forse è anche per questo che Edda a tratti scivola su melodie orchestrali per poi all'improvviso rialzarsi e reagire in maniera aggressiva, come d'impulso, incapace lui stesso di rilassarsi fino in fondo.

“Odio i Vivi” è un disco per cui un ascolto non basta, e forse nemmeno due o dieci. Certo da Edda non ci si aspettava qualcosa di pop – o comunque facile – ma se con “Semper Biot” si erano aperte delle porte sul suo mondo, ora qualcuna si richiude con violenza. Solo chi ha la testa abbastanza dura da sfondarle riesce a entrare, gli altri rimangono fuori. Rimangono vivi.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.