Ascoltando “Hopeless” la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un camaleonte, ma ce n’è abbastanza per darci dentro e consumarsi le orecchie.
Per recensire questo terzo disco pubblicato dagli Hot Gossip ho dovuto ripercorrere a grandi linee la produzione della band, ricorrendo al supporto dell’archivio presente su Rockit.
Ascoltando “Hopeless”, infatti, la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un camaleonte: proprio come il rettile, la musica della formazione guidata da Giulio Calvino (di fatto oggi una one-man-band) cambia colore ad ogni uscita discografica. Se in “Angles” (2006) Carlo Pastore la definiva “una scarica di rock’n’roll punky e dancy (che non dimentica noise-pop e garage - e ch’è una sassata)”, tre anni dopo Ester Apa ci raccontava del successivo “You look faster when you are young” parlando di “ritornelli ossessivamente meravigliosi imbevuti di piacevolezza danzereccia e ritmi in levare, punteggiati di cadenze pop e innesti funk”.
Oggi, invece, pur rimanendo invariata la cifra stilistica, il sound si fa più rarefatto; rimangono ovviamente le chitarre, anche tante, ma la sezione ritmica picchia decisamente meno - anzi, ancora meglio: è molto più gustosa che in passato.
Col passare degli ascolti, l’orizzonte a cui stavolta fa riferimento l’ex Candies è, come da premessa, differente da quello passato. In “Hopeless” sarà molto più facile percepire arrangiamenti a là Graham Coxon che rimandano ai Blur di “Charmless man” (“Lifespan”, “People shooting banks”), così come ascoltando “Love murders” verrà spontaneo immaginare che si potrebbe trattare di un duetto fra Justine Frischmann delle Elastica (qui in realtà la voce femminile è di Adeline Fargier) e il Damon Albarn di 20 anni fa. In “New sound” e “I’m out of here”, invece, il cassetto dei ricordi si apre alla voce The Stone Roses, tanto per rimanere in tema di citazioni importanti.
Più in generale, l’impianto chitarristico si ispira a quel sound tipico non solo del brit-pop (da cui gli Hot Gossip riprendono magari la dimensione più sbarazzina, che un produttore come Stephen Street avrebbe saputo maneggiare abilmente), ma in particolare a quello dei Jesus & Mary Chain. E non si tratta certo di una contraddizione, perché la sintesi contenuta in questa mezz’ora è di rara bellezza. Mai avremmo immaginato, infatti, che nel giro di un lustro il progetto di Giulio Calvino si evolvesse in maniera così rapida, risultando affascinante come mai prima d’ora.
A questo punto la curiosità va, quasi quasi, già al prossimo disco. Però in “Hopeless” ce n’è abbastanza per darci dentro e consumarsi le orecchie.
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La recensione Hopeless di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-03-30 00:00:00
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