Immagina Palm Beach. O anche un'altra qualsiasi spiaggia, basta che sia di notte. Di notte, e affollata di gente presa bene, con la voglia di ballare e sudare ma tenendo il cervello acceso. Perché l'elettronica dal cuore rock degli Hate Boss ha una personalità quasi intellettuale, e non ha paura di interrogarsi sui mali del mondo mentre infiamma il dancefloor: i “Signs” sono i segnali, gli avvertimenti che il mondo ci sta inviando, in molti modi e nessuno rassicurante.
E poi ragiona sull'invasione della tecnologia, ironizza sull'ossessione per il fashion (“Black is the new black”), sfiora concetti matematico-filosofici (le forme geometriche di “Shapes”). Intanto le casse pompano le percussioni tribali di “Age of Flames”, le chitarre che reclamano spazio e mettono del funk in “Shapes”, il ritornello ignorante e irresistibile di “Decode”, l'indietronica ipnotizzante della title track, la nostalgia degli anni 90 inglesi che si respira nei ritmi ossessivi di “Palm Beach” e “Monkey”, mentre le tastiere di “Kim Peek” vanno indietro ancora di un decennio, e “Sailing” chiude con un post-rock martellante e lugubre. La festa è finita. Ma andando via dalla spiaggia che si svuota immagina che ci sia in Italia un altro gruppo che ci fa ballare senza vergognarci. C'è, eccolo.
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