Racconti una barzelletta divertente. La prima volta ridono tutti, la seconda volta ridono tutti. Insisti. Alla quinta volta ride qualcuno, alla decima non ride più nessuno. Perché ormai la conoscono, ma soprattutto conoscono te. Tu però non smetti di raccontarla e alla centesima volta tutti ricominciano a ridere.
Vai a vedere un film. Il film è bello, prende e ti piace molto. Arrivi al finale e boom, ecco il cliché che ti rovina tutto. Esci dal cinema incazzato come una biscia. Vai a vedere un altro film. I cliché non sono uno, e nemmeno due: tutto il film è un cliché. Stereotipi come se piovessero, scene telefonate, personaggi tagliati con l’accetta. Sai già dopo trenta secondi come andrà a finire, eppure il film funziona e te ne torni a casa felice come una pasqua perché per un’ora e mezza hai staccato la testa e te la sei goduta.
Ora. Dei Mojomatics sappiamo già tutto. Sappiamo che hanno impostato il loro canone sulla commistione di alcuni generi particolari, cosa questa che li rende automaticamente un cosiddetto gruppo derivativo (e a qualcuno, non certo a me, nel 2012 da ancora fastidio). Rock ’n roll, blues, folk, country, flower punk, punk, addirittura power pop: i Mojomatics sono questo e lo sono da quattro album. Con le dovute sfumature s’intende, ma la sostanza è quella. Ai Mojomatics piacciono gli Stones, i Beatles, Dylan, i Black Lips e li celebrano facendo pezzi che pescano a pienissime mani dagli Stones, da Dylan, dai Beatles e dai Black Lips. “You are the reason for my troubles” è il nuovo lavoro. Dodici tracce per un total running poco sopra la mezzora, quattro anni di gestazione di cui due passati su un palco, testando magari qualcuno dei pezzi nuovi. Niente di nuovo, niente di vecchio. E badate bene, non c’è mica da lamentarsi: saper riconoscere i propri limiti è indice di grande maturità, il passo fondamentale per riuscire a fare al meglio le cose che effettivamente si sanno fare. Perché se con il primo lavoro imposti un canone, con il secondo lo confermi e con il terzo lo confermi ancora di più, arrivati al quarto le strade sono due: o cambi tutto e azzecchi il capolavoro (accettando i rischi del caso), oppure insisti a fare quello che sai fare al meglio, con coerenza. Senza pretese, senza tirartela, senza andare in giro a raccontarla.
Come ho già detto, i Mojomatics sono questo e lo sono da quattro album. Magari un po’ meno ruvidi, meno garage e più country blues oriented, ma si sa, gli anni passano per tutti (aspettando comunque di vederli dal vivo). Ottime dunque l’apertura Stones / Black Lipsiana “Behind the trees” e la scanzonata country ballad dagli echi beatlesiani “You are the reason for my troubles”. Interessante il garage rallentato di “In the meanwhile” e la ruvidezza grezza di “Rain is diggin my grave”. Si torna a parlare di Beatles con “Don’t talk to me”, due minuti e venticinque completi di tutto, mentre la parentesi irriverente “You don’t give a shit about me” si candida come miglior pezzo di chiusura per un potenziale live alcolico: assolutamente da cantare sbronzi, in coro, possibilmente aggrappati al “migliore amico” di turno. Singalong. Alè. Coloratissimo il flower punk di “Yesterday is dead and gone”, per non parlare della filastrocca sghemba “Feet in the hole”, forse il pezzo migliore del disco per inventiva, costruzione e appeal: grottesca, incalzante, sporca. Praticamente una bellezza. E non sono da meno i tre pezzi conclusivi, partendo dal garage rock malinconico “Long and lonesome day”, passando per la cadenzata “Ghost story” fino alla conclusiva “Her song”, cavalcata nuovamente country dai contorni bruciati da un sole rosso da tramonto nel deserto. Tutto qui: “You are the reason for my troubles / you are the reason for my pain / you are the reason for my sorrow / you drive me to the grave”.
I Mojomatics sono in due, come i Black Keys, ma sembrano almeno il doppio, come i Black Lips. I Mojomatics fanno dischi che durano mezzora proprio come i Beatles (fino al ’68), eppure hanno dentro tutto quello di cui hai bisogno, sempre come i Beatles (in toto). I Mojomatics sono una band italianissima, eppure entrando in un negozio di dischi a Vienna, ho beccato “Don’t pretend that you know me” in bella vista sul bancone e il tizio che lo vendeva li smerciava come se fossero gli Stones.
I Mojomatics sono tante cose, a prima vista sempre uguali, guardando bene sempre diverse. E a noi piacciono esattamente così: come erano, sono e come sempre saranno.
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