Pare essere pronto a concedersi generosamente ai suoi "tre fan" (ipse dixit). Così afferma Superfreak in sede di descrizione, in questo lavoro accompagnato da Maybe I'm e Alexander De Large, compagni di ventura per un suono studiatamente sgangherato e animato da quel weird un po' ubriaco e claudicante che tanto imperversa da almeno un quinquennio.
Tiene apprezzabilmente basso il profilo, questo cantautore verace e sornione, e delle sue ilari e "sconsolate" escursioni folky v'è traccia sin dall'opener "Wednesday", storta e stonata che più non si può, rimembrante il folclore sghembo di Holy Modal Rounders, ovvero simile estetica - guarda caso! - freak.
Beat-punk a go go nella seguente "Always Late", tipo Violent Femmes sotto acido, e tutta una serie iconologica di referenze per legni secchi e corde tese, dove conta più una tirata gutturale che la metafisica di un verso, laddove in "B" viene raggiunto un picco molto vicino alle morbose rocciosità di Cramps et similia, o proto-grundge pulito, così come un noise apparentemente scanzonato infesta "Polysemic fear of the trueness", vero sunto teoretico del disco.
C'è un'aura sbarazzina che circonfonde il disco, piacevole e galvanizzante, con un ascolto che procede tra picchi di verve postadolescenziale e (be careful, boy!) qualche tocco naif di troppo. Ma tutto si perdona ad un Superfreak dotato e simpatico.
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