Secondo album solista per Andrea Venezia che ripesca vecchi brani e ne presenta nuovi in un’acida commistione tra blues e punk
Le mani ossute e lo sguardo cupo che spiccano dalla copertina dell’album ne presentano immediatamente il contenuto, non c’è bisogno d’altro, musica seminale e basic che non ama seguire le mode, che si nutre di sé e predilige vita da sottobosco scarno e ombroso. Una macchina rombante di blues eccitato e voce sbranata da fumo e teatralità, suoni secchi e diretti che prendono nello stomaco, le note di un’armonica e i ritmi ossessivi e urlanti che non lasciano scampo a dolcezza alcuna.
Un contorcersi lento di rabbia in camere oscure, balli da ultima notte del mondo e i rimandi alla scena punk di New York, a Tom Waits, ai giganti che segnarono la fine degli anni settanta tracciando strade lastricate di new wave, postpunk e ardore minimalista e scabro. Scatenarsi sulle note de “Il Pozzo” prima di cedere, sforzarsi di dimenticare un momento gli errori più grandi abbandonandosi tra whisky e strane compagnie, tentare di capire quanto sia “dolce la sera quando il vento scompare”, e rimane il tempo per amarsi quel poco che basta.
La presenza vocale di Andrea Venezia domina la scena di questo lavoro che riprende vecchi brani e ne aggiunge nuovi, dove si mescola un senso d’appartenenza fatto di paesaggi acidi di una Sicilia al tempo stesso materna e corrosiva, l’attitudine al viaggio perlopiù mentale e onirico verso un’America che non rappresenta più il Sogno ma soltanto una via di fuga, il colpo incisivo e la presa viscerale. Un disco duro, uno schiaffo sonoro, ossuto e cupo come c’era da aspettarsi, che necessita ripetuti ascolti per superare l’iniziale difficoltà ad approcciarsi alla sua indole spigolosa, ma capace poi di andare a fondo e lasciare il segno con la naturalezza di un seducente pugno improvviso.
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La recensione La culla di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-05-08 00:00:00
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