Il titolo scelto dal trio emiliano è una specie di manifesto, implicitamente recante l'austero assunto relativista, mai così azzeccato come in ambito Rock'N'Roll, dove il più buono c'ha la rogna, e dove l'ultima cosa nuova è stata sentita negli anni '50.
Partendo da questo basso profilo, questi sarcastici emiliani ci consegnano un disco di surf-garage, quello e nulla più, come ci avvisa l'apripista "Colonel Sweeto", beat agente in un caleidoscopio sixties da The Ventures a The Chantays. Dick Dale infesta "Break It Up", una perla garage mediata da istanze più modernamente punk.
Più smaccatamente psycho-punk, "The Eternal Waiting of Mr. Kazumosci", acido richiamo ad una furia prodromica, più simile a The Fuzztones che a Small Faces.
Veloci, dissacranti - se pur di dissacrazione seriale si tratta, i Nacho Fever risultano credibili e personali nel declinare un suono abusato, nel quale smarcarsi dai clichè diventa qualcosa in più che mero esercizio di stile, ovvero azione maieutica.
Non sarà il disco dell'anno (il disco dell'anno a mio parere esiste solo nella mente sclerotizzante), ma è un lavoro che sa di "trapianto storico", pieno di spring reverb e nostalgia. Bravi.
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