Tra toni gotici, elettronica ‘eighties’ e tanta confusione: un disco pesante e senza una direzione precisa.
Un tuffo nella memoria collettiva più gotica ed evanescente, un lungo percorso tra atmosfere barocche e cattedrali deserte, un nome ispirato a un quadro di Dante Gabriel Rossetti, sedici tracce che omaggiano la moglie del pittore, morta suicida: mescolare Siouxsie, Dead Can Dance, electrodark e un intero immaginario dei primi anni ottanta giocato tra sfumature decadenti e brani ballabili, scene fuori fuoco e piani sequenza di soggetti immobili in tinte noir. L’opening è un lampo di inquietudine fatta di acqua che scorre e risate terrifiche, per proseguire poi con pezzi che alternano crepuscoli, notti interminabili e un accenno di sole sfuggente che si manifesta in certi slanci dance (“Waiting The Moon”); malinconia oltre le nuvole in “A Prayer” dove la voce si fa eterea e guarda al cielo, francamente inascoltabile “Senti”, che pare una hit per dancefloor funerei.
Poi parte “In An Art Studio” e si cambia completamente registro: una dolcezza infinita e nessun riferimento oscuro, e “Fetish Inside” che potrebbe essere tranquillamente inserito nella playlist di qualche deejay; la cattiveria che sfiora il noise di “Love Must Die”, le chitarre orribili di “They Crucified My Woe” che sembra un pezzo hard-rock, la chiusura di “The Death”, dove la risata diventa pianto disperato.
In definitiva un disco poco comprensibile, senza una direzione precisa e con grosse cadute di stile, dove qualcosa di buono c’è (e forse alleggerire il numero di tracce sarebbe stato d’aiuto), ma bisogna lavorare ancora molto, soprattutto su omogeneità e obiettivi.
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La recensione In the garden of Ecstasy di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-10-27 00:00:00
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