Club Dogo
Noi siamo il Club 2012 - Rap, Hip-Hop

Noi siamo il Club

Non è necessario essere hater, invidiosi o falliti per riconoscere che "Noi Siamo il Club" non è un bel disco

La cosa davvero irritante dei Club Dogo, è che andando avanti con la carriera sono riusciti a creare un meccanismo di difesa tanto infantile quanto efficace, per cui chi li critica viene immediatamente riconosciuto come un hater, un invidioso o un fallito. Ora, onestamente, reputo Don Joe, Guè Pequeno e Jake La Furia il top del rap italiano degli anni Zero e sono felice che ci siano loro in cima alle classifiche, dato che sono riusciti a imporsi nelle vendite con un rap distante anni luce dalle mielose contaminazioni pop che negli anni Novanta erano inevitabili per riuscire a raggiungere la vetta. E con questo superiamo i primi due punti. Per quanto riguarda il terzo, sono sinceramente soddisfatto di quello che faccio e quello che sono, e la mia soddisfazione attuale non deve necessariamente corrispondere con la loro o la mia di qualche anno fa. Eppure, dopo questa premessa, trovo comunque che “Noi Siamo il Club” (che titolo è, tra l'altro?) non possa essere definito un bel disco, e si posiziona sul confine con l'inutilità.

Non è tanto un discorso del tipo Non sono più i Dogo di Mi Fist - cerchiamo di uscire dai soliti discorsi stigmatizzati - ma è innegabile che andando avanti con gli anni e con gli album (siamo ormai al settimo ufficiale), i Dogo si sono andati progressivamente svuotando di contenuti, e nonostante la pretesa di continuare a suonare scomodi (senti “Sangue Blu”) non riescono a partorire niente di meglio di "Tutti i soldi che ho incassato li ho già spesi, perché la vita è corta come il cazzo dei cin2esi" o "Ringrazio per tutto il supporto lo zoccolo duro, e poi ringrazio pure tutte le zoccole dure. Ci sono sonorità marchiate da un gusto anni Novanta e orientate verso un mood decisamente clubbing e testi che non riescono a uscire – se non in qualche raro caso – dal quadrilatero soldi-donne-successo-haters. E anche se dal punto di vista tecnico - sia per quanto riguarda i beat che il rap - i Dogo continuano a rimanere inattaccabili, in tutto il lavoro non c'è un solo brano degno di essere ricordato. Episodi orecchiabili, divertenti e musicalmente validi come “P.E.S.” con Giuliano Palma si scoprono essere praticamente delle cover, il primo singolo “Cattivi Esempi” ha un testo buono per uno di quei fastidiosi link virali di Facebook, e se ascolti i Dogo degli esordi, e poi quelli di “La Fine del Mondo”, potrebbe sembrare che i primi stiano dissando i secondi. Sembrano ossessionati dalla loro popolarità, che non riescono a smettere di utilizzare come un guanto per schiaffeggiare il mondo, aspetto che non abbandonano completamente nemmeno in ottimi brani intimisti come “Se Non Mi Trovi” con Emiliano Pepe e “Se Tu Fossi Me”. Ribadisco che non si può non essere contenti del loro successo, ma il problema è quando questo diventa il ridondante fulcro contenutistico della loro produzione. Noi siamo riusciti a superare il fatto che un gruppo rap si confronti con il mainstream, ma quando riusciranno ad accettarlo anche loro senza troppe menate?

Forse la questione può essere riassunta da una rima di Jake: "Ho le palle belle vuote e le tasche belle piene". Cioè, se prima sembravano essere motivati da un senso di rabbia, o comunque di sfida e rivalsa, ora sono seduti, e pare che da dire non sia rimasto granché. Un vero peccato, perché i Dogo sono molto più dei locali pieni di ragazzini e dei grandi numeri sul Web. Hanno sempre dato voce a una generazione, come un megafono in grado di amplificare i vizi e i mali della società. Oggi quel megafono urla ancora, e si sente ovunque. Ma cos'è che stanno dicendo quelli che lo tengono in mano?

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