Ancora non sono riuscita a capire “My saddest song” a quale canzone assomigli. Sicuramente a qualcosa di inizio anni ’90 che avevo su una cassetta di canzoni che mia sorella registrava dalla radio. Chitarra acustica, tastiera, percussioni leggere e una melodia che è fatta apposta per crogiolarsi nelle piccole o grandi tristezze quotidiane. “My saddest song” è la traccia di apertura di “I can’t see the time of nothing”, progetto cantautorale lo-fi (più o meno la biografia dice così), di tale mente insonne, che è anche un blog fatto di testi, foto e pensieri sparsi in libertà.
L’immaginario di riferimento è chiaro fin da subito: basta poco per trovare il proprio posto nel mondo. Nella fattispecie, basta una chitarra, un’armonica, poche percussioni e qualcosa di forte per mandare via all'occorrenza i brutti pensieri (“Red Wine, No Pain”). Ovviamente se c’è una ragazza di mezzo è meglio; magari le si potrebbe cantare una canzone per tirarle su il morale ("Gelena") oppure lasciarsi ispirare dalla sua momentanea assenza ("My Moon Sofa").
In poche parole: si tratta un disco fatto per intrattenere, senza mezza pretesa in più, piacevole, come può esserlo - e lo dico con sincero affetto - una puntata riuscita di un telefilm adolescenziale. Lunga vita ai buoni sentimenti.
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