C’è un anelito situazionista dietro la roba di Marcoavaro. E’ un’ironia un po’ fine a se stessa, che mette a nudo orizzonti e limiti (suoi, miei e perfino vostri) del fare musica in Italia e non solo.
Il trash-alike che sottintende l’intero lavoro (che per quanto apparentemente scanzonato, pur di lavoro si tratta) è una forma di comunicazione speculare, in cui tutto quello che si ritrova fa sempre e comunque parte delle proprie esperienze personali, o background che dir si voglia.
Sarebbe pleonastico riferire delle influenze smaccatamente hip-hop (“Sogno il male”) o r’n'b, dell’electro caciarona (“Adesso è come”), o di come la tendenza al turpiloquo costituisca una leva funzionale nelle sue intenzioni, a voler fare dietrologia più o meno spicciola.
Quindi sarebbe come di dover decidere se prenderlo sul serio (perché i margini ci sono, eccome, sopratutto in un panorama un po' desolato come quello attuale), cioè recensirlo come materia di fruibilità musicale, con evidenti punti a suo favore, ma altrettanti slittamenti verso il nulla, oppure concepirlo come materia di provocazione, in un tutto armonico, piuttosto artistico, in cui la realtà tende ineluttabilmente a confondere confini e parametri, come dire che c'è tutto in tutto.
A voler dar sazio ai pornofili, affamati d'un giudizio costi quel che costi, al netto di ogni altra riflessione sullo Stato dell'Arte, direi che si tratta di un discreto disco di musica leggera, laddove per "leggero" è meglio intendere tutto un universo referenziale che affonda le sue radici nell'immaginario collettivo (piuttosto ferito) di un popolo, compresi tic e idiosincrasie...
Ma visto che il mio modo di intendere la realtà non è dicotomico, mi limito a dire che Marcoavaro esiste, ed è tra noi.
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