Dopo la prima serie di ascolti di "Too many late nights" sono andato a recuperare tutte le parole scritte qui su Rockit dalla collega Sara Scheggia, nel tentativo di scoprire cosa accomunasse queste nuovo lavoro con quanto prodotto in precedenza da BED. E di similitudini non se ne trovano molte, a meno che non si voglia considerare una certa attitudine per il blues come collante fra queste due fasi della carriera di Fabio Parrinello.
Se infatti nel precedente "Rhaianuledada (Songs to Sissy)" quest'attitudine veniva declinata sulla falsariga della (neo)scuola cantautorale americana (con quello specifico mood tipico di certi artisti come Joseph Arthur e Bright Eyes), stavolta l'ispirazione sembra provenire da esperienze musicali che hanno battuto altri percorsi. Quasi da non crederci a raccontarlo se già conoscete le opere di Fabio Parrinello, ma oggi il blues di cui sopra viene rivisitato e rimescolato ("When I Was Married To You", "Dixie Gipsy, Babe", "Sister") incrociando a grandi linee la lezione retro-futurista del Moby di "Play" e quella deviata dei grandissimi e mai tanto rimpianti Sixteen Horsepower. Musicalmente parlando, quindi, " Too many late nights" rappresenta una svolta: è un disco più arrabbiato del solito, quasi che il Nostro abbia deciso ad un tratto di cambiare completamente abito, vestendo queste 10 tracce con rinnovati colori, per lo più tendenti al nero.
Non per questo vengono messe da parte le ballate, ma dopo la metamorfosi (compiuta?) sembrano assumere contorni diversi. "Crazy to the bone" (sopra tutte…), "Paper cuts, light green" e "Land's end sanctuary" sono i 3 episodi nel classico vecchio stile ai quali sarebbe stato impossibile rinunciare - e per i quali l'ultimo Joseph Arthur pagherebbe lingotti d'oro per intestarle a suo nome. Negli altri frangenti, quelli più hard, fanno invece capolino alcuni tratti tipici del sound forgiato da Trent Reznor (ascoltate la coda di "Heather" e il climax di "It turns you on"), lontanissimi dall'idea di suono che finora avev(am)o attribuito al progetto.
Dopo Grimoon, BadLoveExperience e Drink To Me, Black Eyed Dog ci consegna in questo 2012 un'altra opera 'made in Italy' dalla caratura internazionale. Un valido motivo per fingersi, all’occorrenza, sciovinisti.
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