Marina Rei
La conseguenza naturale dell'errore 2012 - Cantautoriale, Pop, Pop rock

La conseguenza naturale dell'errore

Una sola veramente bella (quella di Capovilla), altre riuscite a metĂ , quattro proprio no. Poteva fare un figurone

Ovviamente sono contento che ci sia un ricambio tra gli autori che scrivono per il pop che va in radio. Il punto, a mio avviso, è: questi “nuovi” sono di una generazione che la radio italiana l'ha ascoltata poco, e la radio un po' ti insegna che bisogna piacere a tutti, devo ammettere che i “nuovi” tendono un po' alla lagna. Il bello è che quando un artista che conosce bene i trucchi del mestiere del piacere si mette a lavorare con un autore un po' lagnoso ma con tante altre qualità, ecco, possono uscire delle piccole bombe. Vedi “Bruci la città” di Irene Grandi scritta da Bianconi o “Tre cose” di Malika Ayane scritta da Raina (quest'ultima la più trasmessa in radio negli ultimi mesi) che sono due pezzi pop belli solari prodotti bene e potenti, e non si appoggiano alle solite melodie e non hanno testi di un Nek qualunque. Con Marina Rei quel gioco lì non funziona (e la recensione potrebbe finire qui). Anche se il disco non è al 100% brutto - ne salvi 4 su 8, e di quelle quattro solo una ti piace davvero; ma davvero, nel senso che la riascolti e vale tenerla sull'Ipod anche dopo aver cancellato il disco – resta un peccato.

“E mi parli di te”, il testo è di Capovilla la musica è della Rei (probabilmente molto influenzata da "Direzioni diverse" de Il Teatro). Descrive il narcisismo maschile, triste, con poche parole e alcune sembrano buttate a caso (“sembri Dylan Thomas”) questo modo di scrivere così freddo, a tratti ingessato, mi ha sempre comunicato una gran malinconia, come se fosse fradicio di solitudine, un uomo chiuso dentro se stesso che comunica male o a fatica. Ti fermi un secondo, guardi Capovilla, comprendi che è proprio lui (o almeno è il personaggio che ha disegnato per temi e atteggiamenti praticamente da quando lo conosci) e un piccolo brivido ce l'hai.

“La conseguenza naturale dell'errore” (testo e musica di Appino). Se sei innamorato un po' la capisci, tante frasi e altrettanti nervi scoperti, quel “é dubitare che l'amore in fondo ci sia stato mai” o anche “tu eri un uomo che esisteva fino a qualche tempo fa” e “sei solo veramente quando hai perso anche la verità” che io, nel mio piccolo, ho interpretato come: ti puoi anche riempire la bocca d'Amore, ma poi quando ti ritrovi a gestire tutte quelle emozioni in corpo, giorno per giorno, capisci che non sei proprio l'uomo sicuro e fiero che credevi di essere. E' bella ma obiettivamente è una canzone confusa, che va srotolata più volte, tante cose che si sommano e quasi mai ne vieni a capo. Quella di Benvegnù (nel senso che è quasi tutta sua: solo il testo è a quattro mani) ritorna quasi agli Scisma, e fa anche piacere sentire una sua canzone alleggerita da tutti i suoi soliti giri neurali, ma sicuramente non rientra tra le memorabili di Benvegnù, che è uno che anche con la b-side più malcagata ti lascia secco. Con “Il modo mio” è peggio: la bravura della Donà nel costruire qualcosa che non sia mai banale si sente, ovvio; purtroppo si appoggia su questo tappeto etereo manco fosse una canzone religiosa.

Le altre tre (la quarta è solo una versione con la Morricone Orchestra) sono brutte, non saprei definirle altrimenti. Sinigallia e Mastandrea ("Che male c'è") non convincono con una storia sull'omicidio di Federco Aldrovandi con pochissime sfumature e peggio va con “Qui è dentro” (l'unica scritta solamente da Marina Rei) sulle carceri italiane; quella con i Bud Spencer sembra totalmente messa a caso, o solo per aver qualche chitarrone in più.

Quindi, “La conseguenza naturale dell'errore” non è da stroncare (perchè obiettivamente i dischi inascoltabili sono altri) ma è certamente un'occasione sprecata: la voce non risplende (e poteva fare la differenza), quando le canzoni sono ben scritte ci si perde tra arrangiamenti poco stimolanti, poco innovativi, ridotti all'osso non si sa perchè; quando sono brutte già sapete.

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