Un cantautore che ha trovato la sua inclinazione. Pezzi Sanremesi da prima serata. Serve un crescendo di spessore e un ripasso generale del Festival.
Chissà se Carlo Barlozzo, durante le registrazioni del suo album “La meta”, sognava di poterlo poi presentare esibendosi al Casinò Municipale di San Remo? Domanda retorica. Infatti, nelle composizioni del cantautore toscano classe 1983, traspare limpidamente la passione e l’ossessione per l’aureo periodo (anni ’60) della canzone italiana. Ora il Festival si svolge al Teatro Ariston, è di tutt’altra consistenza e il nostro per di più, è uno dei trenta finalisti del concorso Sanremo Social Day 2012, alla quale ha partecipato con la sua “Prima di parlare”. La realizzazione del sogno dunque, sembra molto vicina e tangibile.
Senonché le undici tracce proposte non riescono proprio a brillare, a divertire o commuovere. È un pop senza forte appeal. Un cantautorato senza eleganza, disarmante semplicità e freschezza. È un basic pop. Brani che Samuele Bersani avrebbe scritto senza ritornelli banali. Brani in cui Luca Carboni avrebbe raggiunto l’essenza, togliendo anziché aggiungere prolisse colorazioni. Perfino l’orchestra dei fiori si annoierebbe trovandosi a interpretare arrangiamenti così scontati e piacioni. Decisamente meglio invece, quando le canzoni si svestono dell’abito volutamente e forzatamente Rai, e si palesano per e con la propria delicatezza, con la propria anima.
Voce, chitarra e pianoforte è la formula con cui Carlo convince di più. C’è tanto De Gregori (“La meta”), Federico Zampaglione e Niccolò Fabi. Un’overdose di Ron (“Guarda”) e Tricarico (“Sei come me”). Il nostro si districa in maniera notevole con i lenti e con l’universo di Gino Paoli, eretto a modello artistico assoluto. E non a caso l’unica cover del disco (“Una lunga storia d’amore”), è dell’autore de “Il cielo in una stanza”, dalla quale Barlozzo non ha potuto prescindere scrivendo la sua “Un cielo per soffitta”.
Il cantautore ha forse già trovato la sua inclinazione. Pezzi Sanremesi, da “prima serata”, ma nell’accezione negativa, che si accostano così al (non)gusto dominante che il Festival ha assunto da anni a questa parte. Un album discreto poiché tutto è al posto giusto, e tutto esattamente ubicato proprio laddove un qualsiasi ascoltatore medio se lo sarebbe aspettato. Edulcorato per convenzione e per scelta. L’artista ha del talento, ma non riesce ad andare oltre la compiutezza paracula del pezzo scatena-applausi. Occorre quindi un crescendo di spessore, che comunque si avverte, e uno studio approfondito delle edizioni (tra)passate.
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La recensione La Meta di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-08-28 00:00:00
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