Con un nome così, riconoscere le band di riferimento per questo quartetto italo-spagnolo è un gioco da ragazzi, facile quanto pronosticare la vittoria del prossimo Sanremo da parte di un “amico di Maria”.
L'opening track "Twenty Three" risulta fortemente condizionata da un ascolto assiduo dei Muse, sicuramente l'influenza più forte. "Life in Plastic" sembra una b-side scartata da Doherty e Barât mentre l'autoreferenziale "We are The Albionauts" è l'unico brano che cerca di discostarsi dal suono del rock d'oltremanica virando su sentieri punk-rock. Particolare la scelta di inserire in ben due brani, "No Rules in Italy" e "Rain on the Americans", frammenti dei rispettivi inni nazionali.
La pecca di questo disco è quella comune a molti dei gruppi italiani che si cimentano in territori musicali lontani, per nascita e sviluppo, dalla loro terra d'origine: l'eccessivo ancoraggio a sonorità altamente inflazionate e la difficoltà di proporre innovazioni di carattere mi porta a non giudicare come sufficiente questo lavoro. C'è bisogno di più personalità nella proposta musicale.
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