Tarick1
Hail To The Kitchen! 2012 - Electro

Hail To The Kitchen!

Electro-madeleine. E killer-tracks come se piovessero

Una cucina stroboscopica, il sapore del soundsystem fatto in casa. Che Tarick1, alter-ego in giacca e occhiali fluo di Andrea Calcagno, già basso in Laghisecchi prima e Numero 6 poi, fosse uno dedito alle esplorazioni synth-disco (80s e 90s d'essai) lo si sapeva. E come ogni side-project concepito in forma divertissement, ecco arrivare al momento giusto, scevra da limitazioni e impegni altri, la feroce zampata del giaguaro.

"Hail to the kitchen" giunge a far da seguito a quell'esordio, "Il dischetto rosso di Tarick1", che ne aveva mostrato certe tendenze, alleggerendone in parte il bagaglio kitsch (eccezion fatta per la copertina) e allargandone spettro e spessore a favore della dritta valenza contundente delle singole canzoni. Nove pezzi che orgogliosamente rivendicano provenienza casalinga, ma che suonano tutt'altro che low-profile. Anzi. Il primo poker è micidiale, ogni cosa al posto giusto, i synth che fanno i synth, il refrain che fa il refrain, i vocal che calzano a pennello in ogni dove (Tommi Cerasuolo dei Perturtbazione che si veste magnificamente NYC su "Someone else's fun", Giulia Sarpero dei Kramers musa e crisalide in "Cup of tea"), la batteria che ritmicamente calpesta da soffitti colmi a singoli di Chic e Gary Numan (o di William Orbit, filologisticamente, e con merito, citato in "Home gay home"). Poi lo step ignorante, a metà, con "Il pasto di Varsavia", che apre porte e ritmi a percorsi tra di loro diversificati. Su tutti, magnifica la rilettura di "Freedom", Bobby Soul che trascina il groove di Richie Havens dove funk comanda, e chiude almeno la summer session dell'album. Gli ultimi pezzi accellerano sul pedale dell'etereo, e a parte la cassa dritta (che fa sempre il suo) in "Techno di provincia", nessun'altro grosso e grasso synth-sussulto.

Che però non frena complimenti e applausi per un disco che è suono lodevole e appassionato, electro-madeleine che riesce appieno nella sua nobile opera di recupero e (ri)costruzione di roba rischiosa di rimanere schema di memoria. E che soprattutto, nei suoi momenti migliori, si fa ballare che è un piacere. Chapeau.

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